giovedì, giugno 28, 2007

assolta l'insegnante che aveva punito

assolta l'insegnante che aveva punito l'alunno bullo

PALERMO - "Far scrivere cento volte all'alunno Sono un deficiente non è una punizione umiliante, anzi: è un mezzo pedagogico del tutto lecito". Il Tribunale di Palermo ha assolto perché "il fatto non sussiste" l'insegnante di Lettere che punì un allievo della scuola media colpevole di aver dato dell'omosessuale a un compagno di classe.

"Ho fatto solo il mio dovere", si era difesa la professoressa ma il pm era convinto che la sua scelta fosse stata "sproporzionata", tanto che aveva proposto al giudice per le indagini preliminari di condannare l'insegnante a due mesi di reclusione. Il Tribunale però ha espresso un giudizio diametralmente opposto: in tredici pagine di motivazioni, il giudice ha spiegato e ripetuto che l'azione della docente "era improntata all'esigenza di rieducare".
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Finalmente, il ritorno della funzione paterna nelle scuole?
Dopo l'eliminazione della droga, si ritorna a punire per educare.

«Frenare la spesa corrente»

l'Unità.it - Corte dei Conti: «Frenare la spesa corrente» - Economia

Finalmente lo dice anche L'Unita' - vuoi vedere che s'e' capito?

Bisogna tenere sotto "controllo" la «spesa corrente primaria delle grandi categorie a rischio» che sono pubblico impiego, pensioni e spesa sanitaria. È quanto sostiene la Corte dei Conti nella relazione sul rendiconto generale dello Stato per il 2006.

La mancanza di decisioni incisive sulla spesa - afferma Balsamo - impone il mantenimento dell'attuale pressione fiscale «su valori difficilmente tollerabili». In particolare la mancata revisione periodica dei coefficienti per le pensioni farebbe aumentare la spesa rispetto al Pil.

Il miglioramento dei saldi di finanza pubblica «è da attribuire per intero a un'impennata né programmata né prevista della pressione fiscale», passata dal 40,6 per cento del 2005 al 42,3 per cento del 2006: è il fisco, dunque, a migliorare i bilanci.

Nella relazione si sottolinea la necessità di una «accelerazione» degli interventi a sostegno della crescita. E per un «sistema di welfare più adeguato» si invita a essere «rigorosi gestori delle finanze pubbliche». Monito, infine, sulle «difficoltà di contenimento della spesa corrente» per la finanza locale.

martedì, giugno 26, 2007

Intesa compra Alitalia per AirOne

Trend Online: "Il prossimo 12 luglio sono attese le offerte vincolanti per Alitalia e 'le chance che la privatizzazione vada in porto restano quasi tutte legate alla volontà di Intesa Sanpaolo di andare avanti, finanziando l'Ap Holding di Carlo Toto'. L'accordo con le altre banche pronte ad appoggiare Intesa in qualità di arranger è cosa fatta: Morgan Stanley, Nomura e Mps hanno già dato la loro adesione, Lehman Brothers starebbe a sua volta per aggiungersi, anche se resta qualche dettaglio da definire. Toto a sua volta illustrerà domani ai sindacati il suo piano di rilancio di Alitalia.

Nel frattempo, l'Air One di Carlo Toto svela il piano di rilancio di Alitalia che prevede circa 1.500 esuberi del personale della compagnia della Magliana. Secondo alcune indiscrezioni, 'Toto avrebbe detto che Malpensa (dove Air One non ha mai voluto portare i suoi voli) deve restare in piedi perché interessa al Paese; i salari di Alitalia non sarebbero un problema, ma ci vuole più produttività del personale navigante, mentre ci sarebbero 1.500 esuberi a terra'."

Assunzioni per conoscenza nel 48,7 per cento dei casi

Quelli che le imprese assumono Contabili, venditori e informatici | Repubblica | Miojob: "Le modalità di selezione. Quando si tratta però di fare entrare una nuova persona in azienda, i direttori del personale delle imprese continuano a preferire i 'canali informali'. Anche nel 2007, nel 48,7 per cento dei casi infatti utilizzano le conoscenze o le segnalazioni di clienti o fornitori. Un quarto di loro ricorre alle banche dati interne e solo il 9,5 per cento passa per la stampa e il 6,4 per cento si rivolge ai centri per l'impiego."

Le lauree più richieste continuano ad essere quelle degli indirizzi economico-commerciali seguite da quelle degli indirizzi di ingegneria elettronica e dell'informazione. Resta comunque un eccesso di "laureati" sul mercato. Secondo le stime degli esperti di Unioncamere, circa il 25,8 per cento dei ragazzi e delle ragazze che hanno conseguito la laurea sono destinati a non trovare sbocchi sul mercato.

Assunzioni complicate. Allo stesso tempo continua a salire, rispetto agli anni scorsi, la quota di imprese che hanno molte difficoltà a trovare le figure che sono loro necessarie. Tanto che il 29,6 per cento delle aziende italiane confessa di essere alla prese con “assunzioni complicate”. Così se da un lato c’è chi non trova lavoro, dall’altro c’è chi non trova il lavoratore.

I settori. Il maggiore apporto arriva dall'edilizia, dalle attività commerciali e dal turismo dove il numero di occupati in più rispetto all'anno scorso è rispettivamente di 15.800, 15.480 e 12.040. Cresce anche l'occupazione nelle attività manifatturiere (+11.390) e nelle industrie meccaniche e dei mezzi di trasporto.

domenica, giugno 17, 2007

Lavoce.info - Internazionali

Lavoce.info - Internazionali

La distribuzione del reddito nei paesi occidentali sara' a causa della globalizzazione sempre meno omogenea con un libero mercato in assenza di correttivi redistributivi. Crolla la possibilita' di mantenere un sistema neoliberale senza interventi correttivi degli stati.

Devono trovarsi forme di redistribuzione che consentano la concorrenza, evitando l'accentramento statale dei servizi, per ridare il potere decisionale al mercato. Per esempio il buono-scuola o buono-ospedale.

martedì, giugno 12, 2007

Alitalia, il destino di volare basso

Phastidio.net | IBL - Alitalia, il destino di volare basso

Per l’Istituto Bruno Leoni la privatizzazione di Alitalia rischia di condurre a risultati ancora peggiori di quelli di partenza. È questa la tesi del Focus di Mario Seminerio, “Alitalia, il destino di volare basso“. Scrive Seminerio: “Il goodwill di Alitalia risiede nella protezione politica dalla concorrenza, malgrado tale rendita sia destinata a subire la progressiva erosione ad opera, sulle tratte domestiche, dei servizi ferroviari ad alta velocità che dovrebbero entrare sul mercato entro un paio d’anni, e del già citato accordo Open Skies sulle tratte extraeuropee”.

Per Alberto Mingardi, direttore generale di IBL, “l’abbandono del fondo americano Tpg è un segnale preoccupante. Più che privatizzare la compagnia di bandiera per aprire il settore alla concorrenza, la sensazione è che il governo stia consegnando ai privati la speranza di un monopolio. La gara bandita dal governo si sta dimostrando una farsa: l’unica cosa da fare, a questo punto, è ripartire da zero e bandire un’asta basata solo sul prezzo, in maniera da non lasciare discrezionalità sulla scelta dei compratori al potere politico”.

Il Focus è liberamente scaricabile qui.

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Sono almeno dieci anni che il destino di Alitalia e' stranoto a tutti.
L'unica cosa seria da fare e' decretare il fallimento e mettere all'asta le tratte singolarmente, assieme a tutta la flotta.
Si sarebbero ricavati piu' soldi, invece di dissipare l'attivo.
Com'e' che amministrare Alitalia invece di portare alla galera, consente di portare a casa emollumenti e buoneuscite miliardarie?
E' un premio alla carriera dei boiardi di stato?

sabato, giugno 09, 2007

Manager, malati di troppo lavoro - Corriere della Sera

Manager, malati di troppo lavoro - Corriere della Sera

I risultati di un sondaggio Gidp sui direttori del personale. Le conclusioni? Valide per tutto il mondo dirigenziale


Hans Bauer è un nome di fantasia, perché il manager non gradisce farsi riconoscere, ma la vicenda è reale. Qualche anno fa Bauer arriva a Roma per assumere la presidenza della filiale italiana di una società tedesca. Il primo giorno di lavoro telefona alla moglie e, com'era abituato in Germania, le dice: «Sarò a casa alle 17 e 30». Intanto delega la segretaria a preparare l'agenda della giornata. L'assistente dopo un po' arriva per l'approvazione, lui legge e sobbalza sulla sedia: «Ma come, ha fissato la riunione con il management alle 18.30? A Stoccarda a quell'ora tutti i miei collaboratori erano già a casa da un pezzo». «Ma qui - risponde disorientata la segretaria - abbiamo sempre fatto così». Allora Bauer incarica un consulente di misurare il carico di lavoro dei manager a Roma e a Stoccarda. Risultato: in Italia è del 18% inferiore.
GLI ITALIANI AMANO FARE TARDI — In quell'azienda, dunque, l'orario di lavoro dei manager italiani è sensibilmente più lungo di quello dei colleghi esteri. Un caso isolato? Un'indagine di Gidp appena terminata ci dice che, in Italia, la situazione è generalizzata. Gidp è un network di 1.950 direttori risorse umane di aziende medio-grandi e il risultato di quell'indagine desta preoccupazioni: i capi del personale rischiano il cosiddetto workaholism, la dipendenza compulsiva dal lavoro. «Ma c'è anche una lettura positiva. - avverte il presidente di Gidp Paolo Citterio - . I direttori del personale sono manager con un forte spirito imprenditoriale, si identificano molto con l'azienda e hanno uno stretto rapporto con l'imprenditore. Sono un esempio da portare agli altri dirigenti». Ecco qualche numero. Il 58,7% degli intervistati «porta spesso il lavoro a casa» durante la settimana e vi dedica da 3 a 4 ore (il 13,8%), da 4 a 10 ore (il 23,9%), oltre le 10 ore (il 4,6%). Fuori orario d'ufficio, poi, il 77,1% fa o riceve al cellulare tra una e 10 telefonate di lavoro, mentre un altro 11,9% oscilla tra 11 e 20. Durante le ferie contrattuali ogni settimana il manager contatta od è contattato dal suo ufficio tra 1 e 5 volte (il 46,8%), tra 6 e 10 (il 30,3%) e tra 11 e 50 (il 19,3%). Solo il 4,6%, poi, resta in ufficio tra le 8 e le 8 ore e mezza, mentre il 51,4% staziona tra le 9 e le 10 ore e un consistente 40,4% rimane dalle 10 e mezza alle 12 ore. E ciò per ragioni varie: il 24,8% sta tanto in azienda perché si identifica con essa, il 13,8% perché ha «uno stretto rapporto con l'imprenditore» e il 19,3% per «abitudine aziendale dei direttori». L'iperpresenzialismo, però, crea problemi in famiglia. E' vero che il 65,1% dei coniugi dice asetticamente «è il tuo lavoro», ma tra questi il 15,6% «non comprende il motivo» di tanta dedizione, il 2,8% «dissente completamente», il 5,5% lo considera uno sfruttamento, l'1,8% vive «grossi problemi affettivi» e il 20,1% accusa di «pensare più all'impresa che alla famiglia». Drogati dal lavoro o costretti al lavoro? «E' una necessità - assicura Citterio - perché siamo sempre più business partner dell'imprenditore». Luigi Ambrogioni, direttore generale di Federmanager, sindacato dei dirigenti industriali, è meno ottimista. «Il workaholism - spiega - non è un problema solo dei direttori del personale. Da un'indagine condotta tra i nostri associati quella patologia emerge in tutte le aree. Non si capisce che restare più di 10 ore in ufficio non è il modo migliore per fare il manager: chi si chiude in azienda si taglia fuori dagli stimoli per capire lo stesso mondo aziendale. Tanto più che l'essere superpresenti spesso non è determinato da necessità di lavoro, ma da una sorta di rito che comporta il farsi vedere da capi e colleghi. Eppure con modelli organizzativi efficaci 8 ore d'ufficio bastano e avanzano».
EFFETTO IMMAGINE — Severino Salvemini è un esperto di organizzazione aziendale, materia che insegna all'università Bocconi. Secondo lui nelle risposte c'è anche un po' di transfer, per apparire come super executive e, quindi, super impegnati. «Tuttavia - chiarisce - questi "exetreme worker" sono la normalità negli ambienti fortemente competitivi. E il vero problema è dei 30-35enni, che non essendo ancora affermati non hanno spazi per reagire e così rischiano di annientare le relazioni parentali e affettive. Inoltre lavorare troppo non è produttivo, c'è bisogno di più riflessione per far bene il manager». «Tanto più che un'azienda non compra il tempo di un dirigente, ma il suo valore intellettuale. - rincara Domenico De Masi, docente di sociologia del lavoro alla Sapienza di Roma - . E chi si sente insicuro nel proprio ruolo, con il workaholism svela un complesso di inferiorità: se fosse convinto d'essere indispensabile metterebbe paletti all'utilizzo del suo tempo». E tutto ciò mentre negli Usa, ex patria del workaholism, rispetto a quarant'anni fa un cittadino statunitense ha guadagnato da 4 a 8 ore alla settimana da dedicare ad attività ricreative.
Enzo Riboni
08 giugno 2007

mercoledì, giugno 06, 2007

La metà degli italiani non usa Internet - LASTAMPA.it

La metà degli italiani non usa Internet - LASTAMPA.it

Nell’era delle tecnologie il 52% degli italiani non usa ancora Internet. E parliamo di qualcosa come 26.6 milioni di italiani. Se poi si analizza quel 31% che rappresenta la reale “avanguardia tecnologica” si assiste ad un’ulteriore suddivisione: a fronte di un 14% della popolazione (qualcosa come 7.4 milioni di italiani) che abbina un uso consapevole, interattivo ed evoluto delle tecnologie con un’elevata propensione al consumo di contenuti culturali (sono i cosiddetti Eclettici), troviamo un 17%, pari a 8.9 milioni di italiani (i cosiddetti Technofan) che utilizzano le tecnologie per lo più in modo passivo, come svago o per comunicare. Dai dati che emergono dall’indagine probabilmente questo gap rischia nel futuro di aumentare.

Ad orientare gli utenti verso un utilizzo evoluto e interattivo delle nuove tecnologie (più cultura=uso più consapevole ed evoluto delle tecnologie) non è tanto la disponibilità o l’uso frequente delle tecnologie nuove e di tendenza: la tecnologia di per sé costituisce uno strumento neutro.

Quello che fa la differenza è l’abitudine alla fruizione di consumi culturali. I forti fruitori di programmi TV tendono invece a un consumo tecnologico ridotto: più che di digital divide è quindi più corretto parlare di cultural divide. Non emergono nemmeno grandi differenze tra Nord e Sud, conta invece molto di più se si vive in una grande città o in un piccolo centro.

dall’indagine emerge chiaramente però che - ed è questo il segnale più preoccupante - anche i genitori tecnologicamente più avanzati, non riescano a trasmettere la passione per la cultura ai figli, che, di conseguenza sempre di più, utilizzeranno le tecnologie come puro gadget.

Le piattaforme più utilizzate: (almeno una volta alla settimana) il PC con DVD (39%) e il cellulare conMP3/video/fotocamera (33%), seguito dal lettore DVD (26%). Lettore MP3/i-Pod e TV LCD/al plasma seguono con il 15%. Sistemi di messaggistica istantanea (Messenger, Skype) e forum/blog sono i servizi Internet più frequentemente utilizzati: lo usano almeno una volta la settimana rispettivamente il 27% e il 22% degli utilizzatori di internet. Gli acquisti di contenuti online: fenomeno emergente. L’acquisto di CD, DVD e libri avviene ancora massicciamente offline.

L’online è un fenomeno ancora contenuto che interessa ad oggi circa il 10% degli heavy user di internet, coloro che si connettono da casa tutti i giorni o quasi (e il 3% se riportato alla popolazione italiana nel suo complesso).

venerdì, giugno 01, 2007

ilGiornale.it - FORZA SIGNOR FISCO CONTINUI COSÌ - n. 128 del 01-06-2007

ilGiornale.it - FORZA SIGNOR FISCO CONTINUI COSÌ - n. 128 del 01-06-2007: Forza Visco, tenga duro. Non si dimetta. Non si lasci convincere da quei suoi alleati di maggioranza - sempre più numerosi - che la invitano a rinunciare alle deleghe sulla Guardia di Finanza. Resti al suo posto, signor viceministro.
Il lettore non pensi che siamo impazziti. Al contrario, una logica c’è, e tra poco ve la sveleremo. Prima però, è necessario un riepilogo di quanto è successo ieri.
Dunque. Al «question time» di Montecitorio il ministro per i Rapporti con il Parlamento Vannino Chiti, rispondendo a un’interrogazione di An, ha difeso Visco giurando che il governo gli garantisce la fiducia assoluta. Intendiamoci: da Chiti non potevamo certo aspettarci un benservito al suo collega. Sono tuttavia degne di un piccolo approfondimento le motivazioni che Chiti ha utilizzato per scagionare il viceministro. «Visco - ha detto testualmente Chiti - non ha costretto nessuno a fare alcunché: non ne avrebbe avuto né la possibilità né i mezzi, né glielo avrebbe consentito la sua formazione culturale e la sua correttezza istituzionale».
Abbiamo messo in corsivo l’ultima parte dell’appassionata arringa dell’«avvocato» Chiti perché raramente abbiamo ascoltato una motivazione più formidabile. Capite? C’è il comandante generale delle Fiamme Gialle che mette nero su bianco, davanti a un magistrato, le sue accuse contro Visco; ci sono altri tre generali che le confermano; ci sono dei testimoni, ci sono delle lettere, ma nulla di tutto ciò va preso in considerazione perché «la formazione culturale e la correttezza istituzionale» di Visco sono tali che mai e poi mai il viceministro avrebbe potuto commettere irregolarità.
Insomma il governo dice: il processo contro Visco non va neppure cominciato, perché l’imputato è innocente a prescindere. È puro e immacolato nel suo Dna. A voi pare uno Stato di diritto questo? A noi pare una Repubblica delle banane. A noi pare che, a fronte di accuse così circostanziate, un’indagine seria vada fatta: poi, può anche risultare che Visco è innocente. Ma che tutto debba essere insabbiato prima ancora di accertare i fatti, è roba dell’altro mondo.