lunedì, ottobre 15, 2007

Come aumentare le tasse riducendo le aliquote | Epistemes.org

Come aumentare le tasse riducendo le aliquote | Epistemes.org

di Mario Seminerio

Abbassare le imposte per alzarle? Pare esserci questo dietro la riduzione di Irap e Ires prevista nella Finanziaria 2008 che – dietro una scelta, di per sé improntata a razionalità fiscale – introduce di fatto delle scelte di politica industriale, che rischiano di penalizzare soprattutto le piccole e medie imprese.

L’Irap, imposta regionale sulle attività produttive, è stata introdotta alla fine del 1997 dal primo governo Prodi, ministro delle Finanze Vincenzo Visco. È un’imposta il cui gettito viene destinato alle regioni per il finanziamento della spesa sanitaria e che, nella sua formulazione più generale, ha come base imponibile il valore della produzione netto delle imprese ossia il reddito prodotto al lordo dei costi per il personale e degli oneri e proventi di natura finanziaria. L’importo da versare si ottiene applicando alla base imponibile, detta Valore della Produzione Netta, un’aliquota secondo quanto previsto dall’Art.16 del Decreto Legislativo 446 del 1997. Questo articolo prevedeva originariamente al primo comma l’aliquota del 4,25%, al secondo l’aliquota differenziata dell’8,50% per le Amministrazioni pubbliche ed al terzo comma la possibilità di elevare la prima aliquota fino ad un massimo dell’1%. Con la Finanziaria 2006 è stato introdotto l’obbligo per le regioni in deficit sanitario di maggiorare l’aliquota dell’1 per cento, e tale misura è attualmente in atto per Abruzzo, Campania, Lazio, Molise e Sicilia, a compensazione del ripianamento statale a piè di lista del loro deficit sanitario cumulato.

In Europa, in particolare, sta per entrare in vigore la riforma tedesca della tassazione aziendale. Tale riforma punta a ridurre la pressione fiscale complessiva sulle aziende (oggi tra le più alte del mondo industrializzato) dall’attuale 38,7 per cento al 29,8 per cento. Il governo tedesco ha previsto di finanziare la riduzione delle aliquote nominali sulle imprese anche attraverso la riduzione al minimo dell’”arbitraggio fiscale”, che oggi consente alle imprese tedesche di trasferire i propri profitti all’estero e contabilizzare perdite in Germania, per sfruttare i più convenienti regimi fiscali esteri. Si stima che, attraverso questa forma di elusione, circa 100 miliardi di euro riescano ogni anno a sottrarsi all’imposizione tedesca. L’altra misura di finanziamento prevede, come detto, l’introduzione di una cedolare secca del 25 per cento su capital gains, interessi e dividendi da gennaio 2009. La riforma tedesca prevede, nel primo triennio di applicazione, un calo delle imposte pagate dalle società pari a ben 6,5 miliardi di euro, ferma restando la neutralità della manovra complessiva.

Il governo italiano ha espressamente affermato di aver progettato la riduzione delle aliquote Ires ed Irap (la prima al 27,5 per cento, la seconda al 3,9 per cento) sulla falsariga della riforma tedesca. Per fare ciò, è prevista l’eliminazione totale o parziale di tutta una serie di costi oggi deducibili dall’imponibile aziendale, quali le deduzioni extracontabili o gli interessi passivi. Lungi dall’essere la fedele riproposizione della riforma tedesca, la manovra avrà pesanti ripercussioni contabili e finanziarie su tutta una tipologia di imprese che sarebbero invece meritevoli di maggiore tutela.

Ad esempio, le aziende in fase di startup che hanno effettuato pesanti investimenti e subito perdite (civilistiche e fiscali) negli anni passati e che intravedevano il pareggio economico “dopo le tasse” si troveranno ora costrette a svalutare i propri crediti d’imposta ad un tasso Ires ridotto dal 33 al 27,5 per cento sulla totalità delle perdite già realizzate. Ciò determinerà un peggioramento immediato, già nel bilancio 2007, del risultato civilistico, che potrebbe risultare letale per le imprese meno patrimonializzate, esponendole all’alternativa tra ricapitalizzare e portare i libri in tribunale. Questo si sarebbe potuto evitare operando una maggiore riduzione sull’Irap (che continua a dover essere pagata anche da società in perdita!) anziché sulla sola aliquota nominale Ires, che avrebbe anche fornito un aiuto finanziario su una imposta (l’Irap), dovuta immediatamente e per contanti.

Le imprese piccole e piccolissime in fase di startup, caratterizzate da elevato indebitamento, subiranno inoltre conseguenze finanziarie molto pesanti. La Finanziaria 2008 prevede un tetto massimo di deducibilità degli interessi passivi pari al 30 per cento del risultato operativo. Ciò vuol dire che le aziende dovranno pagare le imposte su un utile gonfiato dalla minore deducibilità degli interessi passivi. E a poco serve consentire alle imprese il riporto a nuovo (nel quinquennio o decennio successivo) degli interessi eccedenti non immediatamente deducibili: l’azienda potrebbe aver già dovuto chiudere i battenti per dissesto finanziario, ovvero non poterli neppure aprire per incapacità di finanziare pure il fisco sugli interessi passivi inevitabili in assenza di sufficienti mezzi propri. Ancora una volta, il governo confonde gli aspetti finanziari con quelli contabili, per massimizzare nel breve periodo il proprio gettito fiscale.