sabato, settembre 23, 2006

Tre deal-killer dell'impresa in Italia

di Marco Baldassari

Ieri sera in Piazza Castello ho goduto di un evento che nella sostanza ha superato le Olimpiadi. La Notte dei Ricercatori ha portato in strada, vicino alla gente e ai bambini, il cuore pulsante della ricerca - in buona parte del Politecnico di Torino. Vederle in una fiera non avrebbe dato la stessa sferzata di ottimismo. Ho visto alcune realta' che possono dare a Torino un nuovo primato mondiale nello sviluppo di sistema e cambiare radicalmente la qualita' della vita.

Realta' eccellenti e un gap enorme col sistema-paese. Realizzazioni innovative e concrete, che funzionano, ma prototipi di ricerca confinati in un ambito in cui si e' lontani dal ritorno economico. Uno spazio templio delle idee e dell'ardire di spingersi oltre l'inviluppo. Ci sono ancora due visioni: quella "classica-statalista" del professore che si sente "preconfezionatore" di soluzioni che qualche privato o qualche ente pubblico - ma non lui - potrebbe "cogliere" e construirci sopra un progetto di impresa. Ho anche trovato il germe del team di "giovani visionari" - come furono per esempio la banda dei quattro che fece la SUN - con non solo un prototipo ardito, ma anche le idee chiare sul modo in cui fare e vendere un prodotto che non ha rivali nel mondo. Queste sono realta' dove i soldi e i "cervelli in fuga" dovrebbero sgomitare per avere accesso. Queste realta' ci sono e sono in mezzo a noi.

Le notizie di Telecom Italia oggi sui giornali ci ricordano brutalmente che fare impresa in Italia secondo il modello delle startup oggi e' impossibile. Non nel senso americano della startup, con creazione di valore da una ricerca di punta di cervelli italici. Mancano e mancheranno sempre i soldi e i mercati azionari, dove la popolazione partecipa all'impresa comprando azioni.

"Marco, non possiamo cambiare questa realta'", pragmaticamente mi ricorda un commerciale purosangue. Ha ragione, perche' si deve campare, ma l'impresa e' fatta con la pancia. Non puo' vincere se alle opportunita' di ritorno economico non si unisce la passione e la visione distruttiva. La mission di Bill Gates non era "voglio diventare l'uomo piu' ricco degli states" ma un piu' modesto "voglio che ogni persona della terra possa usare un computer."

L'assenza di questa forza travolgente, di pancia, quella mission che fa muovere le persone, e' il primo ostacolo. "Se vuoi colpire la luna, mira alle stelle." diceva un motto messo da McKinsey in un manuale europeo per imprenditori di startup europee. Non metterti nella posizione di partire limitato in partenza. Fallo in prima persona, con una impresa privata, con tutti i tuoi soldi, con tutta la tua passione nel prodotto che hai creato se sei convinto sia la soluzione al primo "pain" del tuo mercato target. Cosi' col tuo esempio convincerai un team dei migliori e chi ha dei soldi ti preghera' di accettarli e farli fruttare. (La SUN per inciso non ebbe bisogno di funding ed erano quattro studenti di Stanford)

Siamo in un sistema-paese che non incoraggia questo modo di agire. Siamo anzi chiaramente in un sistema che "deprime nelle fondamenta" questo modo di pensare, che in Italia e' francamente da alienati sognatori, che dovrebbero - come fanno tutti i ragionevoli - andarsene all'estero. E' giunto il momento di invertire questo pensiero, perche' questo e' il momento di fare un "turnaround" all'Italia come sistema-impresa. Per vari motivi, sono legato all'Italia e lottero' in ogni modo affinche' questo avvenga. Altrimenti andiamo tutti, ma proprio tutti a fondo, senza piu' via di uscita che richiedere l'annessione alla Cina.

La bufera di Telecom scoppiata sui giornali pone in tutta evidenza i tre "deal-killer" sistematici, quelli che impediscono alle aziende di ricevere soldi in modo sereno e sufficiente per rendere possibili i piani di business di startup che hanno la possibilita' di emergere e diventare leader sul mercato globale. Sono quei tre problemi che fanno stare i migliori fondi di investimento nei primi round di equity ben alla larga dall'Italia.

1. La "culturale assenza" del capitale di rischio disponibile per le imprese. Quello che ha creato il capitalismo moderno e' stata la "Societa' delle Indie" che in cambio di azioni ha distribuito il rischio di impresa in modo diffuso tra tutti coloro che erano disposti a rischiare il loro capitale nella speranza di ottenere un ritorno. Da quella mentalita' sono nati gli Stati Uniti d'America con la radicale dichiarazione di indipendenza del 1776 "We the people" facciamo lo stato-impresa collettiva. Radicale rivoluzione copernicana rispetto al concetto dello stato sovrano per volere di Dio o di un altro assoluto chiamato "volonta' popolare". Lo stato mezzo di convivenza, suddito dei suoi cittadini. Per estensione del concetto di impresa, che aggrega i mezzi e le capacita' di privati per fare insieme opere troppo rischiose o complesse per un singolo. Qui da noi impresa e' sinonimo di potere e i soldi devono stare al sicuro, non certo nel capitale di una azienda. Per conseguenza esiste l'anomalia - che forse qualcuno avra' bonta' di spiegarmi - di fondazioni senza scopo di lucro che comandano le piu' grosse banche italiane, che i soldi li hanno e li impiegano rigorosamente nel debito di aziende nane nei capitali. Nessuno mette i soldi nel capitale, ma tutti prestano o prendono a debito da entita' che di fatto governano le imprese e i mercati e sono di proprieta' di fondazioni che non si capisce bene di chi sono. Ma allora di chi sono le imprese italiane? Per trasparenza, nella costituzione dovremmo dire che "L'Italia e una Repubblica fondata sul debito" mentre sarebbe bello dire che "L'Italia e' una Repubblica fondata sulle imprese."

2. L'indistricabile invischiamento tra politica e affari, con una visione dirigistica-statalista dell'economia che rende la politica strumento di potere sull'economia, con leggi e governi fino alle municipalita' e gli atenei che piu' che regolare dirigono le imprese quando non ne entrano addirittura nelle operazioni (Iri e Alitalia). Questo rende "invischiata" la governance delle aziende, troppo soggette a poteri che dipendono da elezioni politiche piu' che dai capitali di chi possiede le azioni. A questi sistemi di governo, che invece di regolare dirigono, si aggiungono gli indirizzi e i poteri esercitati in modo oscuro dalle banche (socie di debito e non di capitale) con la ulteriore opacita' dovuta al fatto che non si sa di chi sono, ma che tramite relazioni di tipo personale hanno risonanze in ambiti politici. Questa visione del mondo, largamente condivisa e considerata "normale" da una larga fetta della popolazione, e' un deal killer che frena sul nascere qualsiasi possibilita' di fare impresa nei termini dell'economia di mercato propria degli Stati Uniti, che hanno inventato le startup e le stock option come mezzo di condivisione dei profitti aziondali. Al loro insorgere le stock option erano viste come un sistema "socialista" dai conservatori del tempo. Basterebbe rileggersi Modigliani, per ricordare quali limiti debba avere un governo nel regolare il sistema di libero mercato.

3. L'amministrazione della giustizia vista di nuovo come strumento di potere (quindi sottoposta ai movimenti delle teorie politiche) invece di essere considerata il fulcro dell'espressione dello stato regolatore, al servizio dei cittadini per assicurare il piu' equo rispetto dei valori e delle regole, in modo efficiente, sostanziale e tempestivo, cosi' da dimostrare l'utilita' dello stato. Lo stato disastroso della "enforcement" della giustizia - non per demeriti dei suoi singoli professionisti, quandanche faziosi, ma per causa della sua organizzazione non orientata a criteri di qualita' del servizio - esprime la radicale noncuranza che si ha per la cosa pubblica di maggiore peso. Che e' la certezza delle regole e del loro rispetto. Questo senso di giustizia e di forza e utilita' dello stato e' quello che trasmette e garantisce la fiducia nello stato, il senso del valore comune dello stato e quindi del pagare le tasse e in sintesi quella fiducia necessiaria per intraprendere sentendosi in un sistema libero, equo ed equilibrato, dove emerge il migliore.

Questi tre aspetti vengono letti e sviscerati nella vicenda Telecom dal bellissimo articolo di Oscar Giannino, pubblicato ieri su Libero, che riporto integralmente per la chiarezza delle sue parole, impossibili da sintetizzare, pur dense di un marcato risentimento verso il sistema.

Concordo inoltre con le ragioni di Davide Giacalone, che ritengono comunque un errore strategico la nazionalizzazione del core della rete. Per molti motivi e' invece l'ultimo miglio che andrebbe scorporato da Telecom e dato in gestione alle aziende municipalizzate o alle mutliutilities, che dovendo gia' portare tubature, non avrebbero problemi a farsi carico dei cablaggi fino negli appartamenti delle singole case. Piccola nota: avendo anche rievocato Raul Gardini, preciso che il mio ricordo della pagina di Repubblica del 1993 col teschio macabro di Forattini del Moro di Venezia e' vivo nella mia memoria - ero sul lago di Garda a fare surf - come e' vivo il mio sentire vicino col cuore a una precedente vittima di questo sistema mortifero.

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STRONCHETTATO PROVERA
di OSCAR GIANNINO

Ora che ha perso Telecom, i giudici (benedetti da Prodi) gli presentano il conto
(Libero 22 set 2006)

Caro direttore, premetto a te e ai lettori che questo ennesimo articolo sulla vicenda Telecom è scritto frenando a fatica l'incazzatura. Ci sono tre aspetti diversi della faccenda, e su tutti e tre i lettori di Libero come del mio giornale Finanza&Mercati non hanno dovuto aspettare il post 11 settembre di Telecom, per leggere ciò che andava scritto per tempo. Non saremmo a questo punto, cioè sul ciglio di un baratro, se i giornaloni vicini a grandi banche e al vertice di Confindustria avessero fatto il loro dovere sui tre capitoli, invece che scoprirli ora quando è tardi, in una paradossale gara dell'ultimo minuto, e solo perché la Procura di Milano ha fatto esplodere col consueto tempismo la bomba a tempo che da anni si teneva in serbo. Le tre questioni sono assai diverse, e se si intrecciano ora in un unico dossier è solo perché l'Italia è malamente abituata da molta della sua informazione a errori uno più grave dell'altro. Non osare mai fare analisi serie sui criteri finanziari e industriali che i grandi gruppi pongono alla base delle proprie scelte, almeno finché chi li guida siede nell'Olimpo intoccabile di chi "conta" davvero.

Da moltissimi mesi chi qui ci legge ha visto squadernata la vera priorità che da cinque anni a questa parte la Telecom di Tronchetti Provera ha considerato prioritaria, nelle proprie scelte finanziarie e industriali e nelle tre successive inversioni a U fatte a distanza di poco tempo, sul valore pazzesco pagato comprando all'origine, sull'opa Tim e oggi sul ritorno alla separazione tra fisso e mobile: la priorità è sempre stata l'estrazione di valore finalizzato a rendere via via meno impossibile il debito in capo a chi era socio di comando, non la creazione di valore nell'interesse di tutti i soci dell'azienda a partire da quelli di minoranza. Dirlo prima dell'11 settembre, tranne poche eccezioni condannava all'irrilevanza nel giornalismo "autorevole" del nostro Paese. Ieri e solo ieri, si è svegliato Eugenio Scalfari. Forse, se i grandi giornalisti economici badassero meno ai vincoli posti dai grandi inserzionisti pubblicitari e alle telefonate di banchieri e industriali soci del proprio giornale, e rischiassero di più la faccia criticando quando c'è da criticare - e in Telecom ce n'era a bizzeffe, purtroppo - lo stesso Tronchetti avrebbe evitato per tempo errori che oggi rischiano di risultargli fatali. L'essere al di sopra delle giuste critiche sconfina con l'impunità, ed è nell'impunità che si commettono gli errori peggiori.

Il secondo capitolo riguarda invece l'invasione selvaggia di campo compiuta quest'estate da Romano Prodi con maggior violenza quanto più avvertiva che il nodo si stringeva intorno al collo di Tronchetti. E anche su questo, i nostri lettori hanno potuto giorno per giorno capire che cosa ne pensiamo, di un premier che fa preparare da banchieri amici - a tutt'oggi sconosciuti - piani di riassestamento societario di grandi aziende private quotate, nonché di esproprio di uno dei suoi asset più importanti come la rete fissa, poi li fa consegnare all'azienda a poche ore da scelte decisive, poi ancora dice di non saperne niente, rifiuta di risponderne in Parlamento, e finisce per fare la figura del nano sul terreno dell'onore rispetto al leale Angelo Rovati. Un premier acchiappa-tutto, banche e aziende, piegato però dai suoi stessi sodali prima con le brutte a riferire alla Camera, quando l'aveva escluso. E obbligato ieri a dire di sì anche al Senato, dopo che l'opposizione vi ha avuto la meglio, e la prima reazione di Prodi era stata di sprezzante diniego, delegando l'incolpevole ministro Gentiloni. Un plauso ai due presidenti delle Camere, che pur essendo entrambi fieri militanti dell'Unione nulla hanno concesso al premier . Anche su questo secondo capitolo, l'informazione si divide per tifo politico, invece che per merito delle questioni. E per fortuna ci ha pensato in questo caso la stampa internazionale, ad aggiungere il suo cannoneggiamento contro l'incredibile ritorno di Prodi nelle vesti di presidente dell'Iri e di cordate di amici banchieri.

Ma sul terzo capitolo, quello giudiziario, è veramente dura frenare la lingua. Chi qui scrive è garantista sempre e comunque, a prescindere dalla logica amico-nemico che avvelena l'Italia. Ed era ben per questo, che ho affermato da moltissimo tempo che era e resta uno scandalo, che la procura di Milano si sia tenuta per due anni e mezzo in canna il proiettile dell'indagine che aveva compiuto sulle intercettazioni illecite in Telecom. Riservandosi prima di utilizzarlo come bastone minaccioso per ottenere dalla stessa Telecom una piena collaborazione sulla vicenda Abu Omar, intercettando a tutto spiano e ricostruendo i tabulati di agenti della Cia e del Sismi. Per poi, oggi, ottenuto ciò che si voleva e che presto vedremo formalizzato nella conclusione dell'indagine che intende tagliare la testa al Sismi, e affermare il principio che in Italia le operazioni "coperte" d'ora in poi non si fanno se non sotto la guida e l'assenso del Palazzo di giustizia milanese - far brillare la mina che da mesi e mesi Tronchetti Provera sapeva di avere sotto i piedi.

Puntualmente gli arresti per le intercettazioni illecite di Telecom avvengono ora che è aperto sul tavolo il nodo del riassetto e controllo societario, nel pieno delle polemiche politiche per le mani che Prodi ha cercato di calare sull'azienda, in modo da affermare autoritativamente ciò che dal 1992 è sempre stato il copione obbligato dei ribaltoni italiani: è la giustizia penale, a rivendicarne il timone, attraverso ordini di cattura e schiavettoni. Personalmente, ho scritto da mesi ciò che oggi ripeto: le intercettazioni di massa compiute in Telecom erano uno schifo gravissimo, e le difese aziendali visibilmente facevano acqua, come molte volte abbiamo documentato, ma la bomba a tempo della Procura non fa meno ribrezzo. Perché le violazioni della legge da parte dei privati sono ciò che la giustizia deve accertare e sanzionare, ma la decisione di farlo scegliendone discrezionalmente tempi e modi per ottenere le maggiori conseguenze sulle imprese stesse e sulla politica è il deragliamento di ogni idea di giustizia giusta.

Tronchetti Provera lo sapeva, che l'attacco più duro gli sarebbe venuto ora che i suoi errori industriali e finanziari venivano al pettine, quello più pericoloso ancora rispetto allo stesso Prodi che lavora per rilanciare la mano dello Stato e di banche amiche su Telecom, gli sarebbe stato portato dai pm che da un anno e mezzo girano attorno alle decisioni che hanno assunto solo ora.

E' per questo che si è dimesso dalla presidenza di Telecom: così che i pm non assumano né provvedimenti limitativi della sua libertà personale, poiché non essendo più presidente non può più inquinare le prove né reiterare eventuali reati, né interdittivi della sua qualifica di amministratore, com'è divenuta temibile abitudine dopo che la legge 231 rende i pm padroni della vita, dell'operatività e dei beni di ogni impresa nella quale chiunque - qualunque sia il suo grado - sia sospettato di aver compiuto un reato.

Così facendo, in questi giorni ha evitato che il titolo Telecom scendesse in Borsa sotto la soglia dei 2 euro: che è il limite oltre il quale c'è l'esplosione non più convenzionale come quella in atto, ma nucleare, poiché i covenant con le banche creditrici del gruppo sono firmati per un valore minimale dell'azione Telecom non inferiore a 1,8-1,9 euro, e se si va sotto saltano le garanzie e l'intera catena di controllo che fa capo alle scatole cinesi di Tronchetti va a farsi benedire perché nessuno le farebbe credito.

Per Tronchetti, il bilancio è amarissimo. Aver dovuto leggere - solo ieri, naturalmente, ad arresti avvenuti - che il direttore di Repubblica giudica la Telecom delle intercettazioni illecite di massa un vero e proprio "cancro annidato nella vita italiana", e per sovrammercato essersi dovuto sorbire dal fondatore Eugenio Scalfari la piena interdizione dal consorzio dei presentabili in società, addirittura con un accostamento personale a Raul Gardini, deve essere stato veramente duro per Tronchetti. A maggior ragione perché il maramaldeggiare è tanto più infamante quanto più è tardivo, e giunge addirittura a indicare un colpo di pistola suicida - ma suicida davvero? - come unico rimedio per levarsi di torno con onore. Sul ruolo di Guido Rossi, come difensore dei diritti sinora violati dei soci Telecom diversi da quelli di controllo, dell'azienda di fronte alle incursioni di Prodi e di fronte ai pm che vogliono ora influenzarne l'agenda e le scelte, dico solo una cosa. A lodarlo per i suoi mille meriti è le sue straordinarie qualità, sono buoni in tanti. Io sono bastian contrario. Proprio perché ho dato addosso alla Juventus moggiana, dico allora che il professor Rossi consulente di Olimpia con Murdoch non è che si sia comportato al di sopra di ogni sospetto d'interesse improprio, quando da commissario straordinario di Federcalcio ha appuntato la stelletta dello scudetto sul petto dell'Inter del cui vicepresidente Tronchetti era ed è avvocato. *Vicedirettore Finanza%Mercati

mercoledì, settembre 20, 2006

Ritorno alla Cina

Una gelata sull'economia italiana le parole di Ruper Murdoc: «Abbiamo avviato trattative con il gruppo - ha precisato con gli analisti - ma abbiamo pensato che fosse molto meglio rimanere indipendenti». In poche parole? Murdoch si tira indietro. E così le strade dei due gruppi si separano dopo che i flirt, culminati nell'incontro in Grecia con l'ex presidente Marco Tronchetti Provera del 7 settembre scorso a bordo di uno yacht, avevano dato adito a voci di incroci azionari. A spolverare il campo da qualunque dubbio, ci ha pensato infine il portavoce di Murdoch durante la conferenza. «Non c'è nessuna trattativa in corso con il gruppo delle telecomunicazioni italiane» ha tagliato corto. «Troppa politica, devo cercare soci per Sky Italia» il canale satellitare Sky Italia potrebbe essere separato da News Corp per permettere l'ingresso di «azionisti italiani», una mossa che «ci farebbe sentire più tranquilli». Ma in questo caso gli aspetti finanziari lascerebbero il posto a «considerazioni di carattere politico»

Le dimissioni di Tronchetti Provera, la valanga di indagini sulle intercettazioni telefoniche sui manager Telecom Italia, il piano dirigistico della Presidenza del Consiglio per nazionalizzare la rete Telecom, riportano la mente alla morte di Raul Gardini e del polo chimico italiano.

Anche le telecomunicazioni sono finite. Dopo la morte della chimica, dell'elettronica di sistema con la scomparsa di Olivetti, del vuoto d'aria in spirale picchiata di Alitalia e dell'industria aereonautica civile, dei buchi a groviera nelle Autostrade, cosa rimane in Italia?

Per fortuna che gli accordi con la Cina, punteranno sulla fornitura di armi al paese amico, che in barba gli embarghi USA e EU decretati dopo Tienammen contro la repressione del dissenso e la censura della rete, consentiranno anche alla tecnologia militare italiana di essere trasferita ai cinesi. Dopo la tecnologia del tessile e della meccanica, il know-how delle tecnologie militari italiane trovera' finalmente un mercato di espansione dove le idee italiane potranno mettere radici ed essere trasferite ai nostri amici cinesi. In vista di una futura annessione dell'Italia?

Nel frattempo, nel resto del mondo sta avvenendo sotto i nostri occhi la rivoluzione della distribuzione dei media, musica e film, sulla rete internet con i due prevalenti modelli di business pay-per-view e ads-per-view con Disney che grazie all'accordo Apple/Pixar ha gia' venduto un milione di dollari di film su i-tunes in una sola settimana dall'inizio del servizio.

giovedì, settembre 14, 2006

Shiva danza tra Enron e Telecom

di Marco Baldassari

Fusione, contr'ordine: scorporo. Perche' separare Tim da Telecom rete fissa, se la convergenza e' vincente? Perche' viene annunciato dopo l'incontro con NewsCorp? La risposta sta nelle tecnologie. Non basta dire che passando da una societa' di telecom ai media cambiano i fondamentali. Enron ha gia' fatto un disastro una volta e la memoria spero sia ancora fresca. Io me la ricordo meglio del 9/11. La vicinanza di date (era dicembre) ha reso piu' semplice attribuire tutta la responsabilita' al 9/11 ma l'attentato al telecom e' stato dopo.

Voglio dire subito l'eresia: vendere TIM non preclude la convergenza, anzi la accelera. Ormai deve essere chiaro che le societa' che gestiscono il traffico di rete (le telco) non sono altro che utilities come quelle che gestiscono gli elettrodotti e i tubi del gas. Per questo il valore di Telecom e' destinato a scendere: il suo debito e' a corrispettivo di una rete che non vale piu' nulla. Se prima si pagava la connessione a tempo-voce, ora si paga un tanto al bit e allora il valore della connessione sara' minimo per la voce (40kbps) rispetto alla HDvideo (ipotizzando una compressione microsoft WM9 intorno ai 4000kbps) che e' cento volte. Ma che prezzo puo' avere la distribuzione video? Se prendiamo per buono il modello MySpace di NewsCorp, la distribuzione si prende circa il 50% del prezzo della IP venduta. Ha senso? Direi che segue la logica del costo medio della distribuzione del software e della parita' nell'apporto di valore da parte di produttore e distributore. Quindi lo stesso criterio lo possiamo attribuire a qualsiasi traffico sulla rete, che potra' essere remunerata a percentuale del valore scambiato. Allora e' chiaro che conviene (ripaga la rete) maggiormente una proprieta' intellettuale a maggior valore. Se un film appena uscito mi costa 7 euro noleggiarlo, siamo a 3.5 euro per 60*60*4000kbps. La utility che distribuisce i media puo' chiedere circa 6 cent al minuto, ipotizzando di fare i conti su un film di un'ora. Siccome questo determina un prezzo al bit (le regole dovranno consentire il trade di capacita' di banda, in modo tale da consentire a qualsiasi societa' di fare distribuzione, anche se non possiede la rete) si avra' che per un traffico voce il prezzo sara' 100 volte meno. Praticamente 6 cent per cento minuti di conversazione, pari a 2 euro al MB. Questi conti sono considerando la vendita e distribuzione online di contenuti di valore. Si capisce che il costo nudo e crudo di trasmettere il bit deve essere inferiore, in modo da consentire un guadagno a chi compra per fare il distributore di proprieta' intellettuale. Sono i prezzi top che un cliente rende disponibile al distributore per un tot di informazione venduta. La connessione per trasmettere informazione pubblica costa ormai 19 euro al mese con circa 4-6Gbps che porta il prezzo a traffico a valori infinitesimi su rete fissa. Siccome il traffico voce sara' gestibile direttamente dai clienti in P2P su IP (come Skype) si presume che le telefonate voce spariranno dalla struttura del valore per una telco. Non ci vorra' neppure molto.

Per chi non ha dimestichezza con UMTS diciamo a titolo indicativo che i vari contratti fanno pagare 3-6 euro al MB. TIM ha una tariffa flat di 25 euro per 9GB dopo le 17 e una da 20 euro per 500MB in ogni tempo, circa 3 cent per 10MB dopo le 17 e 40 cent per 10MB in ogni tempo.
Il problema e' che UMTS con i suoi 384kbps non consente di vedere HD neppure sullo schermo mezza VGA dei videofonini attuali. Lo consentira' invece HSDPA con 1800kbps ma su mezza VGA. Probabilmente qualche altra tecnologia alle porte consentira' un giorno di vedere i film HD come sulla rete fissa. Siccome quella rete dovra' stare alle stesse politiche di prezzo della rete fissa, valgono gli stessi conti per le telefonate voce. Sui telefonini IP 4G e 5G le telefonate le faro' con skype pagando praticamente zero o al massimo 6 cent per 100 minuti di conversazione.

Questo spiega perche' possiamo dire che ormai l'infrastruttura di rete dei cellulari UMTS ha raggiunto il top della redditivita' possibile, con un 80% di penetrazione del mercato dei telefonini.
Siamo arrivati al momento in cui sappiamo che il valore di TIM e' al massimo e vale circa 40 miliardi. Sappiamo anche che la rete dovra' essere rifatta completamente per sostenere i requisiti di una media company. Tanto vale vendere, per ricavare 40 miliardi cash che guarda caso sono pari al debito di Telecom, che in un colpo solo si ritrova senza problemi finanziari e senza una tecnologia di rete che ormai ha dato il suo massimo ritorno.

Infatti la convergenza si dovra' realizzare su una infrastruttura di rete completamente nuova, per gestire una piu' alta capacita' per portare i video HD ovunque. Il cellulare come lo conosciamo e' destinato a sparire perche' sara un terminalino IP mobile, collegato wifi o wimax o 4G o come sara' nel futuro. Non si faranno piu' telefonate a un numero di telefono, ma si chiamera' direttamente l'indirizzo IP magari in IPv6 che era stata fatta apposta.

Il valore di una azienda distributrice e' data dai clienti che ha raggiungibili. Questi sono per la maggioranza utenti sia di rete fissa che di rete mobile. Vendere TIM non significa necessariamente perdere tutti i clienti, perche' molti rimarranno agganciati. Il futuro di Telecom e' Alice/Myspace, con una nuova generazione di cellulari IP. A quel punto Alice/MySpace o equivalenti di Google/Bay o Apple/Disney potrebbero diventare le borse del mercato del futuro. Con una piattaforma di rete logistica totalmente integrata, nulla vietera' di fare la spesa sul cellulare comprando direttamente dal contadino, dalla val Brembana alla val Pellice con le mele di val di Non e la mozzarella pugliese fresca di giornata. Perche' - ricordiamocelo - se la tecnologia non soddisfa il palato, non serve a nulla.

martedì, settembre 05, 2006

Dal produttore al consumatore

di Marco Baldassari

MySpace col suo annuncio di vendere online musica mp3, diventa una forza distruttiva del mercato. In un sol colpo si pone in competizione con gli online music store, con le major discografiche i cui brani sono rivenduti, e sopratutto con il destestato formato protetto da sistemi di DRM, che limitano drasticamente la possibilita' di trasferire i brani acquistati da un sistema all'altro.

Nasce la piazza dove l'artista-produttore potra' offrire direttamente a tutto il mondo la sua musica in formato mp3 senza DRM. Una volta acquistato e scaricato, il file potra' essere copiato ovunque. Se MySpace sara' in grado di garantire revenue consistenti ai nuovi artisti, potrebbe andare in crisi il sistema discografico tradizionale.

MySpace Music nasce come publisher, dove gli artisti possono pubblicare direttamente la musica e gestire in automonia il loro spazio di comunicazione con il mondo. Nel 2005 MySpace è stato il sito Internet più visitato d'America e questo successo potrebbe agire da volano per il lancio del nuovo servizio. "Prima della fine del 2006 - ha precisato DeWolfe - MySpace darà a band indipendenti che non hanno ancora contratti con case discografiche la possibilità di vendere sul sito la loro musica". Gli artisti potranno raggiungere un mercato mondiale ovunque si trovino, con una ottima opportunita' che si apre anche per la musica italiana di qualita' competitiva.

Tre milioni di gruppi hanno già manifestato il loro interesse per il servizio. MySpace è l'ultima società in ordine di tempo a cercare di avere la meglio sul music store iTunes di Apple Computer, ma a differenza di molte altre start-up rivali può già contare su 106 milioni di utenti, e ha il sostegno della società madre News Corp. di Murdoch.

"L'obiettivo è di diventare uno dei maggiori music store digitali - ha detto il co-fondatore di MySpace Chris DeWolfe - Tutti quelli con cui abbiamo parlato vogliono davvero un'alternativa a iTunes e iPod. MySpace potrebbe essere l'alternativa". Infatti la musica sara' in formato mp3 non protetto e quindi liberamente ascoltabile su qualsiasi dispositivo con codec mp3.

Sara' interessante osservare come potranno evolvere le strategie di prezzo e del modello di vendita, in funzione dei risultati che potranno offrire ai produttori-artisti. Questi dovranno escogitare tecniche di viral marketing per rendere noti i propri brani al pubblico. MySpace e' la prima piazza di libero scambio tra produttori e consumatori che potrebbe fornire nuovi modelli di vendita anche per altri prodotti immateriali: ebooks, software, video il cui valore potrebbe essere calcolato un giorno in funzione di quanti nel mondo utilizzano l'informazione in un dato periodo di tempo.

Il rischio e' che con la autoproduzione e la distribuzione diretta venga a mancare la capacita' finanziaria di produrre e lanciare un prodotto di alta qualita', ma le tecniche di viral marketing consentono di rendere nulli i costi di vendita se il prodotto e' di qualita', incentivando dunque produttori indipendenti. Chi sta piu' vicino al cliente - MySpace - potra' sempre investire su prodotti che aumentano il valore dell'intero sistema. Oltre alle scontate classifiche, il portale puo' proporre musica simile a quella piu' ascoltata o simile a quella di amici con gusti simili, come gia' ora fanno realnetwork rhapsody e yahoo music. Tramite News Corp MySpace potrebbe anche vendere direttamente i diritti ai vari canali broadcast del futuro (telefonino e broadband) oltre che alla televisione tradizionale.

Le major riusciranno a proteggersi con startup come ViralFrog per portare online direttamente la loro produzione? Sara' interessante mettere a confronto il modello di vendita di MySpace - con mp3 non protetti infinitamente copiabili - e quello di ViralFrog che fornira' musica gratis in cambio di pubblicita', sovrapponendosi quindi ai canali broadcast tradizionali.

Ho la sensazione che in questo oceano di offerta sara' vincente un meta-sistema di aggregazione che consentira' all'utente di gestire l'informazione in funzione dei propri gusti, in cambio di pubblicita' utile non invasiva (permission marketing) con un sistema di remunerazione soddisfacente per ciascun produttore indipendente di contenuti. La televisione del futuro, insomma.