giovedì, novembre 02, 2006
giovedì, ottobre 19, 2006
Dalla Cina la nuova Napster
"La Cina e' vicina" grazie a internet e paradossalmente dal paese che censura Google ci arriva in broadcasting anche il contenuto che Sky vende a pagamento sui suoi canali satellitari - e da recenti accordi anche sulla rete di Fastweb. Per i produttori di contenuti e' sempre lo stesso problema: come farsi pagare se i contenuti viaggiano per la rete in modo incontrollato? Spingono sui DRM digital rights management per criptare i contenuti e renderli leggibili solo a chi si abbona al servizio o ha comprato la licenza. Tuttavia sappiamo che i DRM sono craccabili e vengono continuamente craccati, oltre ad essere molto fastidiosi nell'utilizzo pratico del contenuto regolarmente acquistato. Inoltre vi sono sempre sistemi per rendere disponibili in chiaro su internet i contenuti, come prima faceva Napster con la musica mp3 e recentemente fa YouTube con i filmati messi online dalla community dei suoi utenti. Le Major stanno facendo battaglia legale contro questi siti, cercando di farli chiudere schiacciati da ingiunzioni delle magistrature di tutto il pianeta. Nel P2P le cose sono un po meno controllabili, perche' spesso non e' necessario un sito origine per funzionare e quindi ogni singolo user che partecipa al P2P viene attaccato direttamente, dopo aver ottenuto dai vari governi locali una legislazione che permetta di perseguire chi partecipa alla diffusione dei contenuti in P2P. Anche qui vengono in soccorso quei siti che rendono anonimo l'indirizzo IP utilizzato e una rete di server come tor che rende totalmente impenetrabile il riconoscimento delle connessioni tra diversi utenti.
L'ultima notizia e' paradossale, perche' Sinacast e' una societa' analoga alla vecchia Napster, con la differenza che trasmette in broadcast su internet trasmissioni i cui diritti sono stati regolarmente acquistati. Per realizzare il broadcasting la societa' fa in modo che ogni user per vedere l'informazione deve usare un client P2P scaricabile dal sito che lo rende anche ripetitore del segnale digitale verso altri utenti. Di fatto il broadcasting si realizza con la partecipazione degli utenti alla bufferizzazione di prossimita' dei dati, esattamente come avviene per i client della condivisine P2P dei file.
Il cortocircuito e' avvenuto: a Milano due ragazzi avevano trovato su Sinacast i canali che trasmettevano le partite di calcio europeo che Sky vende a caro prezzo sui suoi canali satellitari.
Ho appena letto la notizia su beppegrillo.it. I due ragazzi sarebbero stati denunciati da Sky per aver messo sul loro sito il LINK ai canali di Sinacast. La cosa assurda (a mio parere) e' che la cassazione li consideri parte di un reato per aver trasmesso le partite su web. La cosa divertente che fa notizia e' il totale rovesciamento della normalita'. Di solito e' la Cina che censura i siti e oscura i link, mentre nel mondo occidentale abbiamo norme costituzionali che proteggono il diritto di informazione. Qui il paradosso sta nel fatto che e' una societa' cinese a diffondere le trasmissioni di calcio in modo perfettamente legale, avendo acquisito i diritti per trasmettere in broadcast, mentre e' la magistratura di un paese libero (?) che vieta la diffusione dell'informazione, per impedire che le persone sappiano dell'esistenza di quell'informazione presente su rete.
Mentre la clonazione delle card dei decoder e' un reato, non puo' essere assimilabile in alcun modo a un reato il fatto di rendere disponibile su internet l'informazione. Ovvero non e' accettabile in un paese libero dire che postare un LINK sia reato. Altrimenti ci comporteremmo in modo meno liberale della Cina stessa, che ha imposto a Yahoo e Google di censurare ogni riferimento a "Tibet" e altre parole chiave scomode in Cina. Oltretutto a quanto pare le attivita' di Sinacast sono perfettamente legali e quindi la loro trasmissione su internet dei contenuti non e' un reato. Non si vede dunque come possa diventare un reato un link che informa sulla esistenza di quei contenuti. Ma anche se il link fosse un riferimento a un qualcosa che costituisce reato, non puo' essere censurabile il link stesso, come gia' e' stato a lungo dibattuto negli Stati Uniti in merito a un link a un algoritmo di criptazione che violava i limiti di lunghezza della chiave imposti dalle norme di sicurezza militare americana.
Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione.
La stampa non può essere soggetta ad autorizzazioni o censure.
Si può procedere a sequestro soltanto per atto motivato dell'autorità giudiziaria nel caso di delitti, per i quali la legge sulla stampa espressamente lo autorizzi, o nel caso di violazione delle norme che la legge stessa prescriva per l'indicazione dei responsabili.
In tali casi, quando vi sia assoluta urgenza e non sia possibile il tempestivo intervento dell'autorità giudiziaria, il sequestro della stampa periodica può essere eseguito da ufficiali di polizia giudiziaria, che devono immediatamente, e non mai oltre ventiquattro ore, fare denunzia all'autorità giudiziaria. Se questa non lo convalida nelle ventiquattro ore successive, il sequestro s'intende revocato e privo di ogni effetto.
La legge può stabilire, con norme di carattere generale, che siano resi noti i mezzi di finanziamento della stampa periodica.
Sono vietate le pubblicazioni a stampa, gli spettacoli e tutte le altre manifestazioni contrarie al buon costume. La legge stabilisce provvedimenti adeguati a prevenire e a reprimere le violazioni.
Etichette: diritto
giovedì, ottobre 12, 2006
giovedì, ottobre 05, 2006
Rivoluzione digitale e l'influenza cinese
di Marco Baldassari
Ammetto di essere un po influenzato, sofferente per un mal di gola che mi porta a scherzare un poco. Chiedo scusa se l'influenza potra' causare qualche mia digressione troppo scherzosa. Avendo sfruttato l'opportunita' di ascoltare in diretta l'audizione al senato del nostro presidente del consiglio in merito ai piani Telecom Italia, ascoltare la diretta al senato mi ha fatto venire in mente la fine settembre del 1998 quando ero per lavoro presso Homdel un paesino nei campi del NJ appena fuori Manhattan. Visitavo i Bell Labs di Lucent, primo cliente di OptSim, per promuovere OptSim e il suo metodo pipeline time-domain per l'elaborazione simulata della trasmissione di un segnale fotonico in un sistema ottico di telecomunicazione. Passando per il paese, in quei giorni campeggiava su tutte le televisioni dei negozi il balbettio di Clinton che centellinava le ammissioni relative alla fellatio con Lewinsky. Inizialmente Clinton aveva negato di aver avuto rapporti sessuali. Per quella bugia scivolosamente appoggiata alla sua definizione di rapporto sessuale, Clinton ha rischiato seriamente l'impeachment. Mentire sotto giuramento non e' consentito in US. Non sul piano formale.
Evidentemente vi sono problemi quando i capi di stato non sono sufficientemente edotti nelle materie di cui devono parlare. Sicuramente Clinton sara' diventato esperto nel lessico del kamasutra e avra' ampliato le sue conoscenze oltre la fellatio. Tornando ai temi della nostra economia e sulle comunicazioni di notizie aziendali che possono avere influenza sul mercato e sul corso azionario delle societa' quotate, la rivoluzione digitale ci porta cambiamenti anche in questo settore: il CEO di SUN - Jonathan Schwartz - ha chiesto l'autorizzazione alla SEC (quello che la CONSOB dovrebbe essere) per poter diffondere immediatamente le notizie dalle pagine del suo blog. La SEC per tutelare gli azionisti delle societa' quotate pone regole molto severe sulla comunicazione delle notizie aziendali imponendo ai dipendenti la riservatezza e consentendo soltanto comunicazioni pubbliche da effettuare secondo modalita' che assicurano la contemporaneita' di conoscenza a tutto il mondo. La selective disclosure e' un reato molto grave.
Se la SEC autorizzera' la diffusione a mezzo internet, si potranno ridurre i rischi di fuga di notizie dal momento in cui si inizia a diffondere la notizia dal CEO alle persone invitate alla conferenza stampa che poi da origine alla diffusione mediatica vera e propria.
Va da se che un capo del governo possa comunque poter venir considerato al di sopra di ogni sospetto relativamente alla sua capacita' di tenere un segreto di stato e quindi anche in grado di mantenere la riservatezza in merito a notizie industriali di cui dovesse venire a conoscenza. Infatti non ci aspetteremmo mai che piani e progetti confidenziali consegnati nelle sue mani possano essere pubblicati, per il danno che ne potrebbe derivare l'azienda specifica, ma sopratutto all'immagine di affidabilita' del paese in termini di capacita' di riservatezza.
Ad esempio intercettazioni telefoniche o altre prove raccolte dalla magistratura nel corso di indagini istruttorie sono sempre mantenute esclusivamente riservate, mettendone a conoscenza strettamente il numero minimo di persone a cui e' necessario sapere una notizia. Non ci aspetteremmo mai di vedere queste notizie sui giornali. Gli scoop dei giornalisti sono fatti solo quando le prove accumulate sono schiaccianti, come nel caso watergate. Ovviamente sto parlando degli Stati Uniti D'America.
In Italia si ha una percezione distorta sul comportamento che dovrebbe avere lo Stato quando una azienda tanto piu' e' rilevante per l'economia o per i servizi offerti al paese viene considerata da porre sotto "pubblica tutela" dove il termine "pubblico" - che in US e' sinonimo di "ad azionariato privato diffuso", qui in Italia - preferendo alle azioni i titoli di stato e versando le tasse per coprire le perdite - "pubblico" e' sinonimo di Statale, ovvero pagato da tutti quelli che pagano le tasse. Dire che in Italia gli imprenditori si sono comprate aziende statali oggetto di privatizzazione senza mettere sufficienti capitali nelle stesse e' vero. Anche perche' chi materialmente defini' quelle privatizzazioni era una persona che che anche oggi non puo' mentire. Omettere il fatto che Telecom Italia fosse gia' gravida di debiti fino all'inverosimile non toglie nulla alla questione, ma ricorda che sta al regolatore - lo Stato - definire come le aziende debbano essere acquistate sul mercato azionario o dalle mani della cassaforte del debito pubblico Italiano, ovvero l'IRI. Se con una lunga catena di controllo tramite ben 9 scatole cinesi (se ben ricordo) si riesce poi a governare un colosso senza essere obbligati a lanciare un OPA per rilevare l'intero corso azionario non e' che il palesarsi della debolezza del nostro mercato borsistico, poiche' esiste la possibilita' che quella azienda sia scalata da investitori di capitale. Ma chi metterebbe soldi in una azienda in Italia, col rischio di non vederli piu' e perdere il controllo dell'azienda? Se il debito esisteva gia' - sebbene non ben documentato nei bilanci non consolidati - perche' mai lo si dovrebbe ridurre iniettando capitali in una azienda che ha un cash flow comunque positivo se di fatto sono le stesse banche a pilotare col debito le aziende? Non e' il debito che ha causato la perdita del valore azionario di Telecom dai 5,6 ai 2,2 euro per azione. Semmai e' la rivoluzione digitale a creare questi grandi cambiamenti. I cambiamenti avvengono sempre e comunque. Anche se noi abbiamo l'influenza cinese.
Non sono piu' le telefonate il cuore della rete di telecomunicazione. Tutta l'informazione digitalizzabile sta passando per la rete e sta distruggendo radicalmente tutti i processi che esistevano prima e gli attori che facevano cose ora superflue. Non ho bisogno di mandare il fax ai giornali e alle TV per trasmettere la mia ultima press-release: la scrivo sul blog. Non ho bisogno di mandare il mio master alla major discografica per distribuire la mia musica o il mio film sui CD o DVD, li metto in rete. Non ho bisogno di mettere il mio software sugli scaffali perche' il mio cliente lo installi sul suo computer: mi basta identificarlo e avere l'autorizzazione a prelevare dal suo conto corrente per iscriverlo a un servizio online omnicomprensivo di tutti gli update e manutenzioni effettuate in automatico via rete in modo da fargli fare quello che serve a lui, nel modo piu' efficiente possibile. Oggi ogni processo digitalizzabile puo' essere automatizzato da un servizio di alto livello in rete, con ciascun utente connesso h24 a tutti gli altri nel mondo.
La vera rivoluzione digitale sta arrivando adesso, come un muro per alcuni che non si spostano rapidamente o come un'opportunita' per chi sapra' coglierla. Bisogna valutare quello che puo' sopravvivere in modo efficiente e farlo in fretta. Il CEO di ALITALIA (IRI) comunica oggi ai mercati che Alitalia perde capitale ogni minuto che passa e getta la spugna sulle possibilita' di risanamento, affermando che piu' passeggeri sono trasportati maggiori sono le perdite. In effetti lo sapevano gia' tutti almeno dieci anni fa, perche' la flotta di proprieta' IRI non gode dei contratti di affitto delle low-cost, che hanno personale molto meno costoso, piu' motivato e attento al cliente e soprattutto che ha un'efficienza doppia rispetto agli italiani. Dopo aver sistemato le ferrovie, l'attuale CEO di Alitalia e' stato in grado di arrivare alle stesse conclusioni alla fine del suo mandato tirando fuori dal cassetto quel dossier che si era imboscato in perfetto adempimento alla riservatezza all'inizio del suo mandato milionario. Della manovra finanziaria da 33 miliardi, almeno uno e' pari alla perdita ALITALIA stimabile per l'esercizio 2006.
Tanto per farsi un'idea sono 3 i miliardi necessari per la sanita' e basta farsi un giro tra aziende sanitarie, ospedali e medici di famiglia per intuire le enormi potenzialita' che le comunicazioni digitali rappresentano per lo snellimento delle pratiche inutili, del lavoro superfluo che viene sottratto alla cura del malato e del tempo sprecato dei "pazienti" che attendono inferociti, quando non sono in punto di morte. Basti pensare al possibile sistema di comunicazione e monitoraggio malato-medico, che potrebbe essere avvisato sulla necessita di fare una visita (prenotandola ) in base ai parametri vitali comunicati automaticamente dal malato, che andrebbe immediatamente al posto giusto del reparto giusto a fare gli esami necessari senza fare alcuna coda, seguendo invece la freccina del suo navigatore. Ma quanti servizi ora ingolfati con medici-burocrati sarebbero possibili focalizzando e motivando il personale medico oggi distrutto dal lavoro e dal mobbing?
Leggo che una procura non puo' mandare avanti i processi perche' ha finito la benzina dei furgoni che devono smistare i faldoni. Ma a chi li devono smistare e perche'? Ma non hanno un archivio unico a cui tutti possano accedere elettronicamente? Non hanno un personal computer su ogni scrivania?
I segnali che la rivoluzione digitale sta arrivando sono evidenti dal lancio dei prodotti e servizi che si susseguono a livello mondiale. Per la musica alla rincorsa del fenomeno Apple si sono lanciati tutti, copiando i-pod da San Disk che si e' alleata con RealNetworks e BestValue per fornire la musica online illimitata a $14,99 al mese a ZUNE di Microsoft che include un modulo wifi che dara' vita allo scambio diretto della musica nelle comunita' libere del wifi. Zune non e' solo un player di mp3 o lettore di video perche' con la sua connessione via wifi consente sia il p2p che l'evoluzione mobile delle forme digitali della comunicazione sociale. Col fatto che avremo computer mobili sempre connessi in rete, i gruppi e le comunicazioni oggi possibili solo davanti al video diventeranno possibili fuori, all'aria aperta. Chi non sara' in grado di adeguarsi diventera' un zombie o un geek-dipendente costretto finalmente a chiedere informazioni e guida al boy-scout digitale che sapra' connettersi al mondo del suo palmare, aiutando la vecchietta a prendere l'autobus per raggiungere il suo cyber-reparto ospedaliero preferito dove vedersi le analisi online sui monitor della cybersanita'. Finalmente "neuromancer" diventa reale.
Anche la satira politica e la comunicazione sta andando online, saltando a pie' pari la censura mediatica di ogni tipo. "Internet sta cambiando la politica e gli ultimi a non accorgersene sono i politici" dice il CEO di Google al convegno dei Tories. Questa e' la rivoluzione digitale.
Se l'Italia ha il minimo numero di computer in banda larga, siamo il paese dove tutti hanno almeno due telefonini, che ora sono diventati dei computer portatili piu' potenti del commodore64 della mia studentesca alfabetizzazione informatica.
Di un fattore K.
Da 64MB a 64GB (flash) entro fine 2007 con tutto quello che potresti immaginare: telecamera, macchina foto, agenda, telefono, GPS, wifi/G4 Java, online h24, lettore mp3 e musica/video ondemand, pay-per-play o abbonamento.
Rivoluzione digitale: a sinistra l'influenza finlandese, a destra l'influenza cinese. "Where do you want to go, now?"
This is our CEO on CNN.
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Aggiornamento al 19 ott 06
S&P taglia il rating italiano ad A+ da AA-, il secondo peggiore tra le nazioni dell’Area Euro dopo quello della Grecia. L’Italia è diventato l’unico paese dell’euro a soffrire due tagli consecutivi al rating dal lancio della moneta unica, nel 1999. Per S&P, il downgrade è frutto della “risposta inadeguata da parte del nuovo governo alle sfide strutturali dell’economia e del bilancio italiani” perche' la prevista riduzione del deficit pubblico italiano sarà il risultato di inasprimenti fiscali piuttosto che di riforme strutturali volte a ridurre la spesa.
Etichette: economia
sabato, settembre 23, 2006
Tre deal-killer dell'impresa in Italia
di Marco Baldassari
Ieri sera in Piazza Castello ho goduto di un evento che nella sostanza ha superato le Olimpiadi. La Notte dei Ricercatori ha portato in strada, vicino alla gente e ai bambini, il cuore pulsante della ricerca - in buona parte del Politecnico di Torino. Vederle in una fiera non avrebbe dato la stessa sferzata di ottimismo. Ho visto alcune realta' che possono dare a Torino un nuovo primato mondiale nello sviluppo di sistema e cambiare radicalmente la qualita' della vita.
Realta' eccellenti e un gap enorme col sistema-paese. Realizzazioni innovative e concrete, che funzionano, ma prototipi di ricerca confinati in un ambito in cui si e' lontani dal ritorno economico. Uno spazio templio delle idee e dell'ardire di spingersi oltre l'inviluppo. Ci sono ancora due visioni: quella "classica-statalista" del professore che si sente "preconfezionatore" di soluzioni che qualche privato o qualche ente pubblico - ma non lui - potrebbe "cogliere" e construirci sopra un progetto di impresa. Ho anche trovato il germe del team di "giovani visionari" - come furono per esempio la banda dei quattro che fece la SUN - con non solo un prototipo ardito, ma anche le idee chiare sul modo in cui fare e vendere un prodotto che non ha rivali nel mondo. Queste sono realta' dove i soldi e i "cervelli in fuga" dovrebbero sgomitare per avere accesso. Queste realta' ci sono e sono in mezzo a noi.
Le notizie di Telecom Italia oggi sui giornali ci ricordano brutalmente che fare impresa in Italia secondo il modello delle startup oggi e' impossibile. Non nel senso americano della startup, con creazione di valore da una ricerca di punta di cervelli italici. Mancano e mancheranno sempre i soldi e i mercati azionari, dove la popolazione partecipa all'impresa comprando azioni.
"Marco, non possiamo cambiare questa realta'", pragmaticamente mi ricorda un commerciale purosangue. Ha ragione, perche' si deve campare, ma l'impresa e' fatta con la pancia. Non puo' vincere se alle opportunita' di ritorno economico non si unisce la passione e la visione distruttiva. La mission di Bill Gates non era "voglio diventare l'uomo piu' ricco degli states" ma un piu' modesto "voglio che ogni persona della terra possa usare un computer."
L'assenza di questa forza travolgente, di pancia, quella mission che fa muovere le persone, e' il primo ostacolo. "Se vuoi colpire la luna, mira alle stelle." diceva un motto messo da McKinsey in un manuale europeo per imprenditori di startup europee. Non metterti nella posizione di partire limitato in partenza. Fallo in prima persona, con una impresa privata, con tutti i tuoi soldi, con tutta la tua passione nel prodotto che hai creato se sei convinto sia la soluzione al primo "pain" del tuo mercato target. Cosi' col tuo esempio convincerai un team dei migliori e chi ha dei soldi ti preghera' di accettarli e farli fruttare. (La SUN per inciso non ebbe bisogno di funding ed erano quattro studenti di Stanford)
Siamo in un sistema-paese che non incoraggia questo modo di agire. Siamo anzi chiaramente in un sistema che "deprime nelle fondamenta" questo modo di pensare, che in Italia e' francamente da alienati sognatori, che dovrebbero - come fanno tutti i ragionevoli - andarsene all'estero. E' giunto il momento di invertire questo pensiero, perche' questo e' il momento di fare un "turnaround" all'Italia come sistema-impresa. Per vari motivi, sono legato all'Italia e lottero' in ogni modo affinche' questo avvenga. Altrimenti andiamo tutti, ma proprio tutti a fondo, senza piu' via di uscita che richiedere l'annessione alla Cina.
La bufera di Telecom scoppiata sui giornali pone in tutta evidenza i tre "deal-killer" sistematici, quelli che impediscono alle aziende di ricevere soldi in modo sereno e sufficiente per rendere possibili i piani di business di startup che hanno la possibilita' di emergere e diventare leader sul mercato globale. Sono quei tre problemi che fanno stare i migliori fondi di investimento nei primi round di equity ben alla larga dall'Italia.
1. La "culturale assenza" del capitale di rischio disponibile per le imprese. Quello che ha creato il capitalismo moderno e' stata la "Societa' delle Indie" che in cambio di azioni ha distribuito il rischio di impresa in modo diffuso tra tutti coloro che erano disposti a rischiare il loro capitale nella speranza di ottenere un ritorno. Da quella mentalita' sono nati gli Stati Uniti d'America con la radicale dichiarazione di indipendenza del 1776 "We the people" facciamo lo stato-impresa collettiva. Radicale rivoluzione copernicana rispetto al concetto dello stato sovrano per volere di Dio o di un altro assoluto chiamato "volonta' popolare". Lo stato mezzo di convivenza, suddito dei suoi cittadini. Per estensione del concetto di impresa, che aggrega i mezzi e le capacita' di privati per fare insieme opere troppo rischiose o complesse per un singolo. Qui da noi impresa e' sinonimo di potere e i soldi devono stare al sicuro, non certo nel capitale di una azienda. Per conseguenza esiste l'anomalia - che forse qualcuno avra' bonta' di spiegarmi - di fondazioni senza scopo di lucro che comandano le piu' grosse banche italiane, che i soldi li hanno e li impiegano rigorosamente nel debito di aziende nane nei capitali. Nessuno mette i soldi nel capitale, ma tutti prestano o prendono a debito da entita' che di fatto governano le imprese e i mercati e sono di proprieta' di fondazioni che non si capisce bene di chi sono. Ma allora di chi sono le imprese italiane? Per trasparenza, nella costituzione dovremmo dire che "L'Italia e una Repubblica fondata sul debito" mentre sarebbe bello dire che "L'Italia e' una Repubblica fondata sulle imprese."
2. L'indistricabile invischiamento tra politica e affari, con una visione dirigistica-statalista dell'economia che rende la politica strumento di potere sull'economia, con leggi e governi fino alle municipalita' e gli atenei che piu' che regolare dirigono le imprese quando non ne entrano addirittura nelle operazioni (Iri e Alitalia). Questo rende "invischiata" la governance delle aziende, troppo soggette a poteri che dipendono da elezioni politiche piu' che dai capitali di chi possiede le azioni. A questi sistemi di governo, che invece di regolare dirigono, si aggiungono gli indirizzi e i poteri esercitati in modo oscuro dalle banche (socie di debito e non di capitale) con la ulteriore opacita' dovuta al fatto che non si sa di chi sono, ma che tramite relazioni di tipo personale hanno risonanze in ambiti politici. Questa visione del mondo, largamente condivisa e considerata "normale" da una larga fetta della popolazione, e' un deal killer che frena sul nascere qualsiasi possibilita' di fare impresa nei termini dell'economia di mercato propria degli Stati Uniti, che hanno inventato le startup e le stock option come mezzo di condivisione dei profitti aziondali. Al loro insorgere le stock option erano viste come un sistema "socialista" dai conservatori del tempo. Basterebbe rileggersi Modigliani, per ricordare quali limiti debba avere un governo nel regolare il sistema di libero mercato.
3. L'amministrazione della giustizia vista di nuovo come strumento di potere (quindi sottoposta ai movimenti delle teorie politiche) invece di essere considerata il fulcro dell'espressione dello stato regolatore, al servizio dei cittadini per assicurare il piu' equo rispetto dei valori e delle regole, in modo efficiente, sostanziale e tempestivo, cosi' da dimostrare l'utilita' dello stato. Lo stato disastroso della "enforcement" della giustizia - non per demeriti dei suoi singoli professionisti, quandanche faziosi, ma per causa della sua organizzazione non orientata a criteri di qualita' del servizio - esprime la radicale noncuranza che si ha per la cosa pubblica di maggiore peso. Che e' la certezza delle regole e del loro rispetto. Questo senso di giustizia e di forza e utilita' dello stato e' quello che trasmette e garantisce la fiducia nello stato, il senso del valore comune dello stato e quindi del pagare le tasse e in sintesi quella fiducia necessiaria per intraprendere sentendosi in un sistema libero, equo ed equilibrato, dove emerge il migliore.
Questi tre aspetti vengono letti e sviscerati nella vicenda Telecom dal bellissimo articolo di Oscar Giannino, pubblicato ieri su Libero, che riporto integralmente per la chiarezza delle sue parole, impossibili da sintetizzare, pur dense di un marcato risentimento verso il sistema.
Concordo inoltre con le ragioni di Davide Giacalone, che ritengono comunque un errore strategico la nazionalizzazione del core della rete. Per molti motivi e' invece l'ultimo miglio che andrebbe scorporato da Telecom e dato in gestione alle aziende municipalizzate o alle mutliutilities, che dovendo gia' portare tubature, non avrebbero problemi a farsi carico dei cablaggi fino negli appartamenti delle singole case. Piccola nota: avendo anche rievocato Raul Gardini, preciso che il mio ricordo della pagina di Repubblica del 1993 col teschio macabro di Forattini del Moro di Venezia e' vivo nella mia memoria - ero sul lago di Garda a fare surf - come e' vivo il mio sentire vicino col cuore a una precedente vittima di questo sistema mortifero.
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STRONCHETTATO PROVERA
di OSCAR GIANNINO
Ora che ha perso Telecom, i giudici (benedetti da Prodi) gli presentano il conto
(Libero 22 set 2006)
Caro direttore, premetto a te e ai lettori che questo ennesimo articolo sulla vicenda Telecom è scritto frenando a fatica l'incazzatura. Ci sono tre aspetti diversi della faccenda, e su tutti e tre i lettori di Libero come del mio giornale Finanza&Mercati non hanno dovuto aspettare il post 11 settembre di Telecom, per leggere ciò che andava scritto per tempo. Non saremmo a questo punto, cioè sul ciglio di un baratro, se i giornaloni vicini a grandi banche e al vertice di Confindustria avessero fatto il loro dovere sui tre capitoli, invece che scoprirli ora quando è tardi, in una paradossale gara dell'ultimo minuto, e solo perché la Procura di Milano ha fatto esplodere col consueto tempismo la bomba a tempo che da anni si teneva in serbo. Le tre questioni sono assai diverse, e se si intrecciano ora in un unico dossier è solo perché l'Italia è malamente abituata da molta della sua informazione a errori uno più grave dell'altro. Non osare mai fare analisi serie sui criteri finanziari e industriali che i grandi gruppi pongono alla base delle proprie scelte, almeno finché chi li guida siede nell'Olimpo intoccabile di chi "conta" davvero.
Da moltissimi mesi chi qui ci legge ha visto squadernata la vera priorità che da cinque anni a questa parte la Telecom di Tronchetti Provera ha considerato prioritaria, nelle proprie scelte finanziarie e industriali e nelle tre successive inversioni a U fatte a distanza di poco tempo, sul valore pazzesco pagato comprando all'origine, sull'opa Tim e oggi sul ritorno alla separazione tra fisso e mobile: la priorità è sempre stata l'estrazione di valore finalizzato a rendere via via meno impossibile il debito in capo a chi era socio di comando, non la creazione di valore nell'interesse di tutti i soci dell'azienda a partire da quelli di minoranza. Dirlo prima dell'11 settembre, tranne poche eccezioni condannava all'irrilevanza nel giornalismo "autorevole" del nostro Paese. Ieri e solo ieri, si è svegliato Eugenio Scalfari. Forse, se i grandi giornalisti economici badassero meno ai vincoli posti dai grandi inserzionisti pubblicitari e alle telefonate di banchieri e industriali soci del proprio giornale, e rischiassero di più la faccia criticando quando c'è da criticare - e in Telecom ce n'era a bizzeffe, purtroppo - lo stesso Tronchetti avrebbe evitato per tempo errori che oggi rischiano di risultargli fatali. L'essere al di sopra delle giuste critiche sconfina con l'impunità, ed è nell'impunità che si commettono gli errori peggiori.
Il secondo capitolo riguarda invece l'invasione selvaggia di campo compiuta quest'estate da Romano Prodi con maggior violenza quanto più avvertiva che il nodo si stringeva intorno al collo di Tronchetti. E anche su questo, i nostri lettori hanno potuto giorno per giorno capire che cosa ne pensiamo, di un premier che fa preparare da banchieri amici - a tutt'oggi sconosciuti - piani di riassestamento societario di grandi aziende private quotate, nonché di esproprio di uno dei suoi asset più importanti come la rete fissa, poi li fa consegnare all'azienda a poche ore da scelte decisive, poi ancora dice di non saperne niente, rifiuta di risponderne in Parlamento, e finisce per fare la figura del nano sul terreno dell'onore rispetto al leale Angelo Rovati. Un premier acchiappa-tutto, banche e aziende, piegato però dai suoi stessi sodali prima con le brutte a riferire alla Camera, quando l'aveva escluso. E obbligato ieri a dire di sì anche al Senato, dopo che l'opposizione vi ha avuto la meglio, e la prima reazione di Prodi era stata di sprezzante diniego, delegando l'incolpevole ministro Gentiloni. Un plauso ai due presidenti delle Camere, che pur essendo entrambi fieri militanti dell'Unione nulla hanno concesso al premier . Anche su questo secondo capitolo, l'informazione si divide per tifo politico, invece che per merito delle questioni. E per fortuna ci ha pensato in questo caso la stampa internazionale, ad aggiungere il suo cannoneggiamento contro l'incredibile ritorno di Prodi nelle vesti di presidente dell'Iri e di cordate di amici banchieri.
Ma sul terzo capitolo, quello giudiziario, è veramente dura frenare la lingua. Chi qui scrive è garantista sempre e comunque, a prescindere dalla logica amico-nemico che avvelena l'Italia. Ed era ben per questo, che ho affermato da moltissimo tempo che era e resta uno scandalo, che la procura di Milano si sia tenuta per due anni e mezzo in canna il proiettile dell'indagine che aveva compiuto sulle intercettazioni illecite in Telecom. Riservandosi prima di utilizzarlo come bastone minaccioso per ottenere dalla stessa Telecom una piena collaborazione sulla vicenda Abu Omar, intercettando a tutto spiano e ricostruendo i tabulati di agenti della Cia e del Sismi. Per poi, oggi, ottenuto ciò che si voleva e che presto vedremo formalizzato nella conclusione dell'indagine che intende tagliare la testa al Sismi, e affermare il principio che in Italia le operazioni "coperte" d'ora in poi non si fanno se non sotto la guida e l'assenso del Palazzo di giustizia milanese - far brillare la mina che da mesi e mesi Tronchetti Provera sapeva di avere sotto i piedi.
Puntualmente gli arresti per le intercettazioni illecite di Telecom avvengono ora che è aperto sul tavolo il nodo del riassetto e controllo societario, nel pieno delle polemiche politiche per le mani che Prodi ha cercato di calare sull'azienda, in modo da affermare autoritativamente ciò che dal 1992 è sempre stato il copione obbligato dei ribaltoni italiani: è la giustizia penale, a rivendicarne il timone, attraverso ordini di cattura e schiavettoni. Personalmente, ho scritto da mesi ciò che oggi ripeto: le intercettazioni di massa compiute in Telecom erano uno schifo gravissimo, e le difese aziendali visibilmente facevano acqua, come molte volte abbiamo documentato, ma la bomba a tempo della Procura non fa meno ribrezzo. Perché le violazioni della legge da parte dei privati sono ciò che la giustizia deve accertare e sanzionare, ma la decisione di farlo scegliendone discrezionalmente tempi e modi per ottenere le maggiori conseguenze sulle imprese stesse e sulla politica è il deragliamento di ogni idea di giustizia giusta.
Tronchetti Provera lo sapeva, che l'attacco più duro gli sarebbe venuto ora che i suoi errori industriali e finanziari venivano al pettine, quello più pericoloso ancora rispetto allo stesso Prodi che lavora per rilanciare la mano dello Stato e di banche amiche su Telecom, gli sarebbe stato portato dai pm che da un anno e mezzo girano attorno alle decisioni che hanno assunto solo ora.
E' per questo che si è dimesso dalla presidenza di Telecom: così che i pm non assumano né provvedimenti limitativi della sua libertà personale, poiché non essendo più presidente non può più inquinare le prove né reiterare eventuali reati, né interdittivi della sua qualifica di amministratore, com'è divenuta temibile abitudine dopo che la legge 231 rende i pm padroni della vita, dell'operatività e dei beni di ogni impresa nella quale chiunque - qualunque sia il suo grado - sia sospettato di aver compiuto un reato.
Così facendo, in questi giorni ha evitato che il titolo Telecom scendesse in Borsa sotto la soglia dei 2 euro: che è il limite oltre il quale c'è l'esplosione non più convenzionale come quella in atto, ma nucleare, poiché i covenant con le banche creditrici del gruppo sono firmati per un valore minimale dell'azione Telecom non inferiore a 1,8-1,9 euro, e se si va sotto saltano le garanzie e l'intera catena di controllo che fa capo alle scatole cinesi di Tronchetti va a farsi benedire perché nessuno le farebbe credito.
Per Tronchetti, il bilancio è amarissimo. Aver dovuto leggere - solo ieri, naturalmente, ad arresti avvenuti - che il direttore di Repubblica giudica la Telecom delle intercettazioni illecite di massa un vero e proprio "cancro annidato nella vita italiana", e per sovrammercato essersi dovuto sorbire dal fondatore Eugenio Scalfari la piena interdizione dal consorzio dei presentabili in società, addirittura con un accostamento personale a Raul Gardini, deve essere stato veramente duro per Tronchetti. A maggior ragione perché il maramaldeggiare è tanto più infamante quanto più è tardivo, e giunge addirittura a indicare un colpo di pistola suicida - ma suicida davvero? - come unico rimedio per levarsi di torno con onore. Sul ruolo di Guido Rossi, come difensore dei diritti sinora violati dei soci Telecom diversi da quelli di controllo, dell'azienda di fronte alle incursioni di Prodi e di fronte ai pm che vogliono ora influenzarne l'agenda e le scelte, dico solo una cosa. A lodarlo per i suoi mille meriti è le sue straordinarie qualità, sono buoni in tanti. Io sono bastian contrario. Proprio perché ho dato addosso alla Juventus moggiana, dico allora che il professor Rossi consulente di Olimpia con Murdoch non è che si sia comportato al di sopra di ogni sospetto d'interesse improprio, quando da commissario straordinario di Federcalcio ha appuntato la stelletta dello scudetto sul petto dell'Inter del cui vicepresidente Tronchetti era ed è avvocato. *Vicedirettore Finanza%Mercati
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mercoledì, settembre 20, 2006
Ritorno alla Cina
Una gelata sull'economia italiana le parole di Ruper Murdoc: «Abbiamo avviato trattative con il gruppo - ha precisato con gli analisti - ma abbiamo pensato che fosse molto meglio rimanere indipendenti». In poche parole? Murdoch si tira indietro. E così le strade dei due gruppi si separano dopo che i flirt, culminati nell'incontro in Grecia con l'ex presidente Marco Tronchetti Provera del 7 settembre scorso a bordo di uno yacht, avevano dato adito a voci di incroci azionari. A spolverare il campo da qualunque dubbio, ci ha pensato infine il portavoce di Murdoch durante la conferenza. «Non c'è nessuna trattativa in corso con il gruppo delle telecomunicazioni italiane» ha tagliato corto. «Troppa politica, devo cercare soci per Sky Italia» il canale satellitare Sky Italia potrebbe essere separato da News Corp per permettere l'ingresso di «azionisti italiani», una mossa che «ci farebbe sentire più tranquilli». Ma in questo caso gli aspetti finanziari lascerebbero il posto a «considerazioni di carattere politico»
Le dimissioni di Tronchetti Provera, la valanga di indagini sulle intercettazioni telefoniche sui manager Telecom Italia, il piano dirigistico della Presidenza del Consiglio per nazionalizzare la rete Telecom, riportano la mente alla morte di Raul Gardini e del polo chimico italiano.
Anche le telecomunicazioni sono finite. Dopo la morte della chimica, dell'elettronica di sistema con la scomparsa di Olivetti, del vuoto d'aria in spirale picchiata di Alitalia e dell'industria aereonautica civile, dei buchi a groviera nelle Autostrade, cosa rimane in Italia?
Per fortuna che gli accordi con la Cina, punteranno sulla fornitura di armi al paese amico, che in barba gli embarghi USA e EU decretati dopo Tienammen contro la repressione del dissenso e la censura della rete, consentiranno anche alla tecnologia militare italiana di essere trasferita ai cinesi. Dopo la tecnologia del tessile e della meccanica, il know-how delle tecnologie militari italiane trovera' finalmente un mercato di espansione dove le idee italiane potranno mettere radici ed essere trasferite ai nostri amici cinesi. In vista di una futura annessione dell'Italia?
Nel frattempo, nel resto del mondo sta avvenendo sotto i nostri occhi la rivoluzione della distribuzione dei media, musica e film, sulla rete internet con i due prevalenti modelli di business pay-per-view e ads-per-view con Disney che grazie all'accordo Apple/Pixar ha gia' venduto un milione di dollari di film su i-tunes in una sola settimana dall'inizio del servizio.
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giovedì, settembre 14, 2006
Shiva danza tra Enron e Telecom
di Marco Baldassari
Fusione, contr'ordine: scorporo. Perche' separare Tim da Telecom rete fissa, se la convergenza e' vincente? Perche' viene annunciato dopo l'incontro con NewsCorp? La risposta sta nelle tecnologie. Non basta dire che passando da una societa' di telecom ai media cambiano i fondamentali. Enron ha gia' fatto un disastro una volta e la memoria spero sia ancora fresca. Io me la ricordo meglio del 9/11. La vicinanza di date (era dicembre) ha reso piu' semplice attribuire tutta la responsabilita' al 9/11 ma l'attentato al telecom e' stato dopo.
Voglio dire subito l'eresia: vendere TIM non preclude la convergenza, anzi la accelera. Ormai deve essere chiaro che le societa' che gestiscono il traffico di rete (le telco) non sono altro che utilities come quelle che gestiscono gli elettrodotti e i tubi del gas. Per questo il valore di Telecom e' destinato a scendere: il suo debito e' a corrispettivo di una rete che non vale piu' nulla. Se prima si pagava la connessione a tempo-voce, ora si paga un tanto al bit e allora il valore della connessione sara' minimo per la voce (40kbps) rispetto alla HDvideo (ipotizzando una compressione microsoft WM9 intorno ai 4000kbps) che e' cento volte. Ma che prezzo puo' avere la distribuzione video? Se prendiamo per buono il modello MySpace di NewsCorp, la distribuzione si prende circa il 50% del prezzo della IP venduta. Ha senso? Direi che segue la logica del costo medio della distribuzione del software e della parita' nell'apporto di valore da parte di produttore e distributore. Quindi lo stesso criterio lo possiamo attribuire a qualsiasi traffico sulla rete, che potra' essere remunerata a percentuale del valore scambiato. Allora e' chiaro che conviene (ripaga la rete) maggiormente una proprieta' intellettuale a maggior valore. Se un film appena uscito mi costa 7 euro noleggiarlo, siamo a 3.5 euro per 60*60*4000kbps. La utility che distribuisce i media puo' chiedere circa 6 cent al minuto, ipotizzando di fare i conti su un film di un'ora. Siccome questo determina un prezzo al bit (le regole dovranno consentire il trade di capacita' di banda, in modo tale da consentire a qualsiasi societa' di fare distribuzione, anche se non possiede la rete) si avra' che per un traffico voce il prezzo sara' 100 volte meno. Praticamente 6 cent per cento minuti di conversazione, pari a 2 euro al MB. Questi conti sono considerando la vendita e distribuzione online di contenuti di valore. Si capisce che il costo nudo e crudo di trasmettere il bit deve essere inferiore, in modo da consentire un guadagno a chi compra per fare il distributore di proprieta' intellettuale. Sono i prezzi top che un cliente rende disponibile al distributore per un tot di informazione venduta. La connessione per trasmettere informazione pubblica costa ormai 19 euro al mese con circa 4-6Gbps che porta il prezzo a traffico a valori infinitesimi su rete fissa. Siccome il traffico voce sara' gestibile direttamente dai clienti in P2P su IP (come Skype) si presume che le telefonate voce spariranno dalla struttura del valore per una telco. Non ci vorra' neppure molto.
Per chi non ha dimestichezza con UMTS diciamo a titolo indicativo che i vari contratti fanno pagare 3-6 euro al MB. TIM ha una tariffa flat di 25 euro per 9GB dopo le 17 e una da 20 euro per 500MB in ogni tempo, circa 3 cent per 10MB dopo le 17 e 40 cent per 10MB in ogni tempo.
Il problema e' che UMTS con i suoi 384kbps non consente di vedere HD neppure sullo schermo mezza VGA dei videofonini attuali. Lo consentira' invece HSDPA con 1800kbps ma su mezza VGA. Probabilmente qualche altra tecnologia alle porte consentira' un giorno di vedere i film HD come sulla rete fissa. Siccome quella rete dovra' stare alle stesse politiche di prezzo della rete fissa, valgono gli stessi conti per le telefonate voce. Sui telefonini IP 4G e 5G le telefonate le faro' con skype pagando praticamente zero o al massimo 6 cent per 100 minuti di conversazione.
Questo spiega perche' possiamo dire che ormai l'infrastruttura di rete dei cellulari UMTS ha raggiunto il top della redditivita' possibile, con un 80% di penetrazione del mercato dei telefonini.
Siamo arrivati al momento in cui sappiamo che il valore di TIM e' al massimo e vale circa 40 miliardi. Sappiamo anche che la rete dovra' essere rifatta completamente per sostenere i requisiti di una media company. Tanto vale vendere, per ricavare 40 miliardi cash che guarda caso sono pari al debito di Telecom, che in un colpo solo si ritrova senza problemi finanziari e senza una tecnologia di rete che ormai ha dato il suo massimo ritorno.
Infatti la convergenza si dovra' realizzare su una infrastruttura di rete completamente nuova, per gestire una piu' alta capacita' per portare i video HD ovunque. Il cellulare come lo conosciamo e' destinato a sparire perche' sara un terminalino IP mobile, collegato wifi o wimax o 4G o come sara' nel futuro. Non si faranno piu' telefonate a un numero di telefono, ma si chiamera' direttamente l'indirizzo IP magari in IPv6 che era stata fatta apposta.
Il valore di una azienda distributrice e' data dai clienti che ha raggiungibili. Questi sono per la maggioranza utenti sia di rete fissa che di rete mobile. Vendere TIM non significa necessariamente perdere tutti i clienti, perche' molti rimarranno agganciati. Il futuro di Telecom e' Alice/Myspace, con una nuova generazione di cellulari IP. A quel punto Alice/MySpace o equivalenti di Google/Bay o Apple/Disney potrebbero diventare le borse del mercato del futuro. Con una piattaforma di rete logistica totalmente integrata, nulla vietera' di fare la spesa sul cellulare comprando direttamente dal contadino, dalla val Brembana alla val Pellice con le mele di val di Non e la mozzarella pugliese fresca di giornata. Perche' - ricordiamocelo - se la tecnologia non soddisfa il palato, non serve a nulla.
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martedì, settembre 05, 2006
Dal produttore al consumatore
di Marco Baldassari
MySpace col suo annuncio di vendere online musica mp3, diventa una forza distruttiva del mercato. In un sol colpo si pone in competizione con gli online music store, con le major discografiche i cui brani sono rivenduti, e sopratutto con il destestato formato protetto da sistemi di DRM, che limitano drasticamente la possibilita' di trasferire i brani acquistati da un sistema all'altro.
Nasce la piazza dove l'artista-produttore potra' offrire direttamente a tutto il mondo la sua musica in formato mp3 senza DRM. Una volta acquistato e scaricato, il file potra' essere copiato ovunque. Se MySpace sara' in grado di garantire revenue consistenti ai nuovi artisti, potrebbe andare in crisi il sistema discografico tradizionale.
MySpace Music nasce come publisher, dove gli artisti possono pubblicare direttamente la musica e gestire in automonia il loro spazio di comunicazione con il mondo. Nel 2005 MySpace è stato il sito Internet più visitato d'America e questo successo potrebbe agire da volano per il lancio del nuovo servizio. "Prima della fine del 2006 - ha precisato DeWolfe - MySpace darà a band indipendenti che non hanno ancora contratti con case discografiche la possibilità di vendere sul sito la loro musica". Gli artisti potranno raggiungere un mercato mondiale ovunque si trovino, con una ottima opportunita' che si apre anche per la musica italiana di qualita' competitiva.
Tre milioni di gruppi hanno già manifestato il loro interesse per il servizio. MySpace è l'ultima società in ordine di tempo a cercare di avere la meglio sul music store iTunes di Apple Computer, ma a differenza di molte altre start-up rivali può già contare su 106 milioni di utenti, e ha il sostegno della società madre News Corp. di Murdoch.
"L'obiettivo è di diventare uno dei maggiori music store digitali - ha detto il co-fondatore di MySpace Chris DeWolfe - Tutti quelli con cui abbiamo parlato vogliono davvero un'alternativa a iTunes e iPod. MySpace potrebbe essere l'alternativa". Infatti la musica sara' in formato mp3 non protetto e quindi liberamente ascoltabile su qualsiasi dispositivo con codec mp3.
Sara' interessante osservare come potranno evolvere le strategie di prezzo e del modello di vendita, in funzione dei risultati che potranno offrire ai produttori-artisti. Questi dovranno escogitare tecniche di viral marketing per rendere noti i propri brani al pubblico. MySpace e' la prima piazza di libero scambio tra produttori e consumatori che potrebbe fornire nuovi modelli di vendita anche per altri prodotti immateriali: ebooks, software, video il cui valore potrebbe essere calcolato un giorno in funzione di quanti nel mondo utilizzano l'informazione in un dato periodo di tempo.
Il rischio e' che con la autoproduzione e la distribuzione diretta venga a mancare la capacita' finanziaria di produrre e lanciare un prodotto di alta qualita', ma le tecniche di viral marketing consentono di rendere nulli i costi di vendita se il prodotto e' di qualita', incentivando dunque produttori indipendenti. Chi sta piu' vicino al cliente - MySpace - potra' sempre investire su prodotti che aumentano il valore dell'intero sistema. Oltre alle scontate classifiche, il portale puo' proporre musica simile a quella piu' ascoltata o simile a quella di amici con gusti simili, come gia' ora fanno realnetwork rhapsody e yahoo music. Tramite News Corp MySpace potrebbe anche vendere direttamente i diritti ai vari canali broadcast del futuro (telefonino e broadband) oltre che alla televisione tradizionale.
Le major riusciranno a proteggersi con startup come ViralFrog per portare online direttamente la loro produzione? Sara' interessante mettere a confronto il modello di vendita di MySpace - con mp3 non protetti infinitamente copiabili - e quello di ViralFrog che fornira' musica gratis in cambio di pubblicita', sovrapponendosi quindi ai canali broadcast tradizionali.
Ho la sensazione che in questo oceano di offerta sara' vincente un meta-sistema di aggregazione che consentira' all'utente di gestire l'informazione in funzione dei propri gusti, in cambio di pubblicita' utile non invasiva (permission marketing) con un sistema di remunerazione soddisfacente per ciascun produttore indipendente di contenuti. La televisione del futuro, insomma.
mercoledì, agosto 30, 2006
Certezza del diritto
di Marco Baldassari
Un aspetto fondamentale per lo sviluppo economico del nostro paese e' dato dal senso di equita' e di capacita' di far rispettare norme chiare per tutti. Infatti la trasparenza e la sostanziale efficacia delle norme che regolano la vita sociale e quindi anche delle imprese e di chi vi lavora, diventa un elemento determinante nel decidere dove investire i capitali e dove sviluppare attivita' economiche. Per chi e' nato in Italia, la decisione e' se rimanere o se piuttosto andare all'estero, mettendo sul piatto della bilancia le migliori possibilita' di successo e il disagio di dover abbandonare le proprie radici.
Ma in un mondo globalizzato, dove si vince solo se si parte con il massimo potenziale di leadership, la capacita' di attrarre capitali e persone ai vertici mondiali, diventa essenziale per il paese.
In questo, la capacita' del sistema giustizia di essere rapido e sostanzialmente giusto ed equo nel dirimere le controversie, diventa un parametro di valutazione essenziale. Guai se la percezione fosse che in Italia si puo' far quel che si vuole o perdere tutto, in funzione di come si svolgano le procedure giuridiche - in sintesi, del pensiero dominante in quel momento, in quella controversia. Quando si arriva a esiti diametralmente opposti per la stessa situazione, diventa poi evidente la totale confusione giuridica del paese.
Facciamo qualche esempio di cronaca sui valori della cittadinanza:
1. tunisino nato in italia, incensurato e ben integrato, salva la vita a tre persone e viene condannato a 5 mesi di reclusione e poi espulso perche' clandestino.
2. muratore senegalese, morto per salvare un turista: insignito della medaglia d’oro al valor civile e della cittadinanza onoraria.
Considerando i recenti atti di violenza a Milano e a Brescia ci si interroga su cosa significhi essere cittadini italiani e quali valori debbano essere riconosciuti affinche' chi entra nel nostro paese sappia come deve comportarsi per essere accettato.
Ora, se vogliamo dare un messaggio chiaro a chi viene per lavorare e vivere nel nostro paese, sarebbe bene che Letizia Moratti - oltre che a studiare misure di prevenzione del crimine a Milano, potesse immediatamente concedere la cittadinanza onoraria a quel tunisino che ha rischiato la vita per salvare tre persone per poi essere condannato da un giudice ed espulso dal paese in cui era nato e dove aveva scelto di vivere, perfettamente integrato anche se formalmente clandestino.
Questo perche' non serve a nessuno una giustizia che si regge sui cavilli formali, mentre abbiamo tutti bisogno di sentirci parte di uno stato che tutela la persona nella sostanza delle cose, valutando in modo positivo e chiaro le situazioni che sono di valore, senza ambiguita' ne contraddizioni. Altrimenti la percezione di essere uno stato levantino, non favorira' l'impegno delle persone oneste e capaci che potrebbero portare valore in Italia. Poi non chiediamoci perche' i cervelli fuggono all'estero.
Per dare una dimostrazione ancora piu' chiara delle contraddizioni del senso di giustizia in Italia, come ulteriore esempio, basta leggere altre due sentenze diametralmente opposte nel valutare il reato di diffamazione:
1. un uomo in corso di separazione dalla moglie, aveva effettuato videoriprese nelle quali la consorte «veniva ritratta in momenti di effusione sentimentale con un altro uomo» e fatta pervenire la cassetta ai familiari della moglie con una telefonata nella quale il marito comunicava ai suoceri che la moglie «se la intendeva con altri uomini» - Per la Suprema Corte le immagini video, accompagnate dalla telefonata, configurano il reato di diffamazione.
2. alunni trovano su Internet foto 'hard' della prof e le appendono ai muri del bagno della scuola, con didascalie. La prof denuncia ignoti per diffamazione e ingiurie e il giudice di Pordenone l' ha condannata a cinque mesi di reclusione per simulazione di reato.
ne dobbiamo concludere che chi ha impegni in ambito privato non e' tenuto a rispettarli, mentre chi ha impegni nei confronti dello stato non gode degli stessi diritti?
"Nomos" è una parola greca, che significa "diritto". E' un sostantivo che deriva da un verbo: "nemein". Questo verbo, in greco, ha tre significati diversi: prendere/conquistare (Nehmen); spartire/dividere (Teilen) e coltivare/produrre (Weiden). I termini tra parentesi sono in tedesco, la lingua di Schmitt.
"Ciascuno di questi tre processi - prendere, dividere, elaborare - appartiene completamente all'essenza di ciò che finora, nella storia umana, è apparso come ordinamento giuridico e sociale", afferma Schmitt. La cosa interessante è che questi tre termini si riferiscono alla proprietà: tutto il diritto, quindi, è diritto di proprietà. Il diritto è, cioè, l'insieme dei principi che regolano l'appropriazione, lo scambio e la produzione.
La cosa può sembrare riduttiva, se si pensa alla proprietà come un concetto limitato allo scambio di merci (ambito che Schmitt erroneamente chiama "economico").
Ma chiunque abbia letto Locke non può non ricordare che il concetto di proprietà si riferisce alla proprietà del proprio corpo, alla proprietà dei propri diritti e alla proprietà dei propri beni. Cioè, per l'appunto, a tutti i diritti di un individuo.
In un contesto più pratico, Schmitt continua: "Prima di poter distribuire o redistribuire il prodotto sociale, lo stato deve appropriarsene, sia attraverso imposte e contributi, sia mediante la distribuzione dei posti di lavoro, sia con la svalutazione o con altri strumenti diretti e indiretti". In termini normativi: lo stato sociale è in primis un apparato di espropriazione di massa.
Attenzione, perche' il concetto di proprietà si riferisce alla proprietà del proprio corpo, alla proprietà dei propri diritti e alla proprietà dei propri beni. Cioè, per l'appunto, a tutti i diritti di un individuo.
Se lo stato non fa rispettare la proprieta' privata, perche' non reputa importante la tutela dei diritti della persona, che vengono prima dei diritti dello stato, chi se ne rende conto capisce di avere campo libero per prevaricare ogni volta che se ne presenta l'opportunita' - ovvero viene incentivata la violenza.
Forse per questo qualcuno ritiene legittimo non pagare le tasse se lo stato non fa prima rispettare come suo dovere e motivo essenziale di esistenza il diritto primario alla proprieta' privata? Se ragioniamo con la mentalita' americana, la risposta non puo' che essere affermativa.
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Musica in cambio di pubblicita'.
di Marco Baldassari
SpiralFrog e Universal Music hanno annunciato ieri un accordo che ancora mancava nella casisitica del mercato: tutto il catalogo musicale di Universal verra' messo online, scaricabile gratis dal sito di SpiralFrog in cambio dell'ascolto di pubblicita' durante il download. Musica gratis dunque, in cambio di pubblicita'.
Ovviamente i brani saranno sottoposti al controllo di un DRM (probabilmente Microsoft) che consentira' l'ascolto della musica solo se l'utente si e' collegato al sito di SpiralFrog nell'ultimo mese. La musica non potra' essere copiata su CD e potra' essere ascoltata solo su PC e PMP (portable music players) con controllo DRM.
Questa mossa di Vivendi-Universal e' una interessante sperimentazione, per andare nella direzione del P2P legale, assecondando dunque il mercato per trovare nuove forme legali nella distribuzione mantenendo il ritorno economico della proprieta' intellettuale. Sara' interessante verificare se potra' funzionare. Forbes riporta che Ovum ha manifestato diversi dubbi riguardo al modello di Robin Kent, CEO di SpiralFrog ed ex capo della Universal McCann advertising agency.
Del resto Google ha gia' intrapreso questa strada con successo per quanto riguarda l'uso del software. Infatti, per valorizzare il bacino di user del proprio motore di ricerca, Google ha iniziato a proporre l'uso gratuito del software e dei servizi forniti gratis in cambio di pubblicita'.
Quindi i modelli di vendita per la musica diventano 3 a tutti gli effetti:
- acquisto del singolo brano/album una tantum, copiabile all'infinito (CD e copia su CD del file)
- ascolto illimitato streaming in cambio di abbonamento mensile (yahoo, apple, realnetworks)
- ascolto per un mese in cambio di pubblicita' (SpiralFrog)
Non ho alcun contatto con SpiralFrog e comunque se ne avessi sarei obbligato dal NDA a non rivelare nulla. Dunque quanto scrivo e' frutto di mie deduzioni di reverse-marketing intelligence.
La novita' del modello SpiralFrog - che sta nel nome, come spiego piu' avanti - e' che a tutti gli effetti sara' legale lo scambio P2P dei brani scaricati, in modo che la distribuzione della musica possa avvenire direttamente da parte di chiunque.
Dunque ogni persona che apprezza un brano lo puo' segnalare alle altre persone, allegando il brano alle email, mandandolo per MMS, rendendolo disponibile sul suo blog, ovvero trasmettendolo in forma digitale a chiunque. Il tutto in modo legale e rendendo quindi reale e concreto il "viral marketing" di ogni brano. Quindi oggetto del viral marketing non e' piu' soltanto il riferimento al prodotto, ma viene diffuso direttamente il prodotto dai suoi clienti.
Infatti tutto il sistema poggia sulla gestione dei diritti digitali, DRM che rende il brano ascoltabile solo se si ha la "chiave di lettura" ovvero la licenza per l'ascolto del brano. Questa licenza e' ottenibile solo andando sul sito di SpiralFrog e quindi recependo anche in modo passivo la loro pubblicita'. SpiralFrog paga "upfront" in blocco i diritti per tutto il materiale di Universal (e delle altre major che si accorderanno) per poi ricavare nel tempo si spera un ricavo anche maggiore vendendo spazi pubblicitari a clienti paganti, attirati dal bacino di utenti che andranno sul sito per ottenere i digital rights per l'ascolto del brano.
Si comprende dunque il significato del nome "SpiralFrog" che "leapfrogs" il passaggio del bene (il brano musicale) direttamente nel "viral merketing" dello stesso. Ovvero si fondono il marketing e la ditribuzione, diventando un tutt'uno di tipo virale, ovvero "driven" direttamente dagli utenti. Questo e' un salto quantico nella gestione dei diritti digitali, perche' scinde in modo permanente gli utenti dai clienti. Come accennato, lo stesso modello viene adottato da Google per la fruizione dell'uso del software e dei servizi messi a disposizione in remoto dai server in tutto il mondo, con una capacita' di calcolo impressionante grazie a una architettura proprietaria infinitamente scalabile. Il cliente paga per gli spazi pubblicitari, anzi per il click sulla pubblicita'. L'utente ha tutto gratis, purche' possa teoricamente essere un target di pubblicita'.
Forse questo diventera' il mezzo di distribuzione dei digital rights del futuro. Nulla di diverso dal modello della televisione privata commerciale, che consente di vedere film gratis, per il solo fatto di essere target potenziali di pubblicita'. Il salto quantico nasce dalla possibilita' di profiling dell'utente in funzione del tipo di musica che ascolta, da cui puo' essere inferita' la disposizione psicologica in quel momento, in cui si sceglie di ascoltare un determinato brano, oltre alla personalita' complessiva dovuta alla collezione dei brani preferiti e il loro ascolto nel tempo. Questo consentira' di individuare per quel singolo ascolto il tipo di pubblcita' piu' adeguata e con piu' alta correlazione con l'ascoltatore del brano, in modo che possa addirittura costituire una informazione a lui gradita, invece di interromperlo. Nel migliore insegnamento di Seth Godin.
In questo modo la pubblicita' "cavalca la rana" della musica, sfruttata come canale virale di marketing, un tutt'uno con la pubblicita' che a quel punto diventa un canale bidirezionale di informazione e di opportunita' commerciale con il produttore del bene. Infatti, come rimarcato anche dall'accordo di ebay con google, quando un cliente e' particolarmente interessato, quello e' il momento migliore per accogliere una sua azione, con elevata probabilita' diretta direttamente all'acquisto, che se online puo' essere effettuata con un semplice click. Dunque, con l'avvento della nuova generazione di telefonini-PDA-PMP integrati, sempre connessi a internet, ViralFrog puo' evolvere diventando un canale di marketing diretto e anche di vendita online, cavalcando la musica, che diventerebbe l'esca del reale business.
Ci sono solo due grandi caveat a seguire questo modello di vendita:
- funziona se si ha la forza economica di operare in perdita fino a quando si e' in grado di offrire un insieme di contenuti sufficientemente ampio da attrarre una sufficiente base di utenti.
- tutto si regge sulla realizzabilita' di un sistema DRM efficace (teoricamente impossibile) che costringa chi ascolta la musica a rimanere in contatto con il sito di gestione dei diritti e della pubblicita' associata.
Probabilmente pero' questo sara' lo scenario futuro a cui nessuno potra' sottrarsi in nessun campo di distribuzione dei contenuti, siano software che musica, video, informazioni. La distrubuzione sara' virale e immediata. Il ritorno economico potra' venire soltanto da pubblicita' o da abbonamenti a servizi omincomprensivi (TV, musicstore, videostore) con una minima parte del sistema basato sulla vendita puntuale di un singolo prodotto in cambio di specifico pagamento (pay-per=view). Quindi vengono utili le analisi dalla storia del mercato televisivo.
Resta il problema della gestione dei diritti.
Il DRM sulla rete o dell'etere ha due problemi gravi e insoluti:
- il DRM e' intrinsecamente craccabile: si pensi ai cloni delle schede Sky e ai vari software per craccare il DRM della microsoft, che per quanto sofisticati e proprietari saranno sempre aggirabili da un buon cracker che puo' rendere disponibile il sistema di cracking nello stesso modo.
- il formato con DRM non sara' mai un formato universale, rendendo cosi' una barriera il passaggio da un sistema DRM all'altro (problema per chi passa da I-Pod a Real) e rendendo molto discutibile il concetto di "ownership" del singolo brano che vale solo su uno specifico sistema proprietario. Se ho brani su vinile o su CD o in mp3 posso tranquillamente passare la mia musica da un sistema a un altro, da un mio PC a un mio PDA. Se invece sono "criptati" da un DRM devo restare confinato ai dispositivi che fanno uso di quel DRM proprietario.
Per questi motivi ci sono molti che teorizzano il fallimento prossimo dei sistemi DRM e invitano a seguire altri metodi che in buona sostanza lascino totalmente libero lo scambio di informazioni senza alcun controllo sui DR. In effetti il modello fondato sulla pubblicita' consentirebbe anche questo, se invece di "catturare" l'utente con i diritti, si offrisse sempre gratuitamente un servizio di gestione dell'informazione basato su un ritorno di pubblicita'.
La correlazione tra il ritorno derivato dal singolo brano e il ricavo di questa massa di servizi fondato sulla pubblicita' sarebbe a un certo punto impossibile. Questo andra' a scapito dei produttori di contenuto (autori) che non potranno avere un diretto ritorno economico. Pero' sara' anche tecnicamente possibile avere una stima della diffusione capillare dell'informazione, per sapere ad esempio quanti utenti hanno ascoltato il tal brano quel mese, rendendo allora possibile redistribuire la massa dei ricavi in funzione dell'ascolto dei brani.
Se dunque fosse totalmente libera la circolazione dell'informazione digitale, se l'utente non dovesse mai pagare nulla per i diritti in modo diretto, ma tutto il ricavo venisse da servizi indiretti (come la pubblicita') allora non vi sarebbe alcuna preclusione a fornire a un sistema centrale tutti i dati aggregati di ascolto e preferenza sui contenuti da parte dell'utente.
Del resto Google per primo ha capito che se si rende disponibile un oceano illimitato di contenuti, il valore per l'utente non sta piu' nel contenuto in se ma nel modo in cui posso trovare il contenuto che mi serve o che mi piace nel momento in cui lo desidero: ovvero nella gestione dell'informazione, piu' che nell'informazione in se.
La forza di Google sta nel suo motore di ricerca che applicato al sistema di gestione delle email fornisce gia' un valore che nessun altro riesce a fornire: su gmail troverai sempre quella email importante che ti avevano mandato. "at your fingertips wherever you are, whenever you want"
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Aggiornamento 18 set 06
Una settimana dopo la causa intentata a YouTube da Universal, per la distribuzione di filmati protetti da copyright che gli utenti del servizio piu' gettonato di distribuzione video, l'annuncio di un accordo con Warner porta anche YouTube nella direzione del modello della libera distribuzione in cambio di pubblicita'.
Con un sistema di gestione del materiale protetto da copyright, YouTube dividera' gli introiti pubblicitari collegati alla distribuzione del materiale prodotto dalla Warner, aprendo la strada per analoghi accordi nel mondo della distribuzione di media protetto da copyright.
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lunedì, agosto 28, 2006
Google Offers Productivity Apps
Striking out at Microsoft, search giant will offer hosted email, scheduling, and web page creation software.
August 27, 2006
Opening another front in its war with Microsoft, search giant Google will begin offering a collection of web-based productivity tools. A page describing the offering could be found at www.google.com/a on Sunday.
The tools include e-mail, instant messaging, calendaring, and web-page building applications. While the offerings run on Google’s servers, customers will be able to offer the tools as if they were their own.
The web page states that Google is seeking beta testers for its offering, which is customizable “with your branding, color scheme and content through the administrative control panel, and with no hardware or software to install or maintain.”
The move to offer “Google Apps for Your Domain,” follows Microsoft’s move in February to begin a beta test of “Office Live Essentials,” another hosted web services offering.
Google’s move, however, is one step short of a direct challenge to Microsoft’s Office suite of desktop productivity applications. Microsoft has been reluctant to offer web-based versions of those applications, which crank out much of the software giant’s profits.
Google, however, seems to be tiptoeing towards such an offering. It already offers a web-based spreadsheet application. Its acquisition of Writely earlier this year also gives it a web-friendly word processing offering.
A premium offering may be on the way as well. A web page describing the service stated that “[i]f your organization has advanced needs not met by this free service, let us know and we’ll get in touch when a premium service is available for your organization.”
The
Many have speculated that Google may one day begin distributing open-source desktop productivity software such as Open Office.
Google began offering a server pre-loaded with its search software, dubbed a “search appliance” that customers could plug into their corporate networks two years ago.
Contact the writer: BCaulfield@redherring.com
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Mi dispiace, ma torno in America
di Giulia Crivelli
L'ingegner Pierluigi Zappacosta, nato a Chieti nel 1950, vive nella Silicon Valley da 30 anni; qualche settimana fa era tornato in Italia per controllare gli investimenti fatti attraverso il suo fondo Faro. Quasi per caso lunedì scorso ha partecipato a una tavola rotonda al Meeting di Rimini, tema: l'impresa che cresce. In realtà, secondo il fondatore di Logitech, l'impresa in Italia non cresce affatto, perché manca una cultura che favorisca l'imprenditorià e il libero mercato. E perche la classe politica «non capisce nulla di economia». La platea è rimasta colpita e ha molto applaudito. Salvatore Carrubha ha invitato l'inegnere a restare in Italia e proseguire le sue «lezioni di capitalismo applicato» (si veda «II Sole-24 Ore» del 23 agosto). Ma lui era già volato ad Amsterdam per una conferenza sul multiculturalismo, e da lì volerà in Calitornia. Non prima di ribadire le sue tesi.
Si aspettava tante reazioni al suo intervento di Rimini?
Assolutamente no. Non ho mai fatto politica nella mia vita e non mi piace stare al centro dell'attenzione. Il mio intervento al Meeting, "Un anno in Italia", era il racconto della mia esperienza: nel 2005, ho creato Faro, un piccolo fondo di investimenti, e ho scelto di lavorare con tre aziende della mia regione, l'Abruzzo. Però vivo e lavoro negli Stati Uniti da molto tempo e volevo evitare che mi si accusasse di "giudicare senza sapere". Il tono dell'intervento era informale, non cattedratico. Se ha avuto tanta eco forse è perché, come diceva Victor Hugo, c'è una cosa più forte di tutti gli eserciti del mondo: un'idea il cui tempo sia giunto.
Allora è ottimista.
In realtà no. Resto convinto che fare impresa in Italia sia molto più difficile che altrove e che ci vorrà e molto impegno condiviso per cambiare il sistema. E poi sono d'accordo con l'analisi fatta di recente dall'Economist: gli italiani devono toccare il fondo prima di darsi una mossa. E il fondo non l'abbiamo ancora toccato.
Salvatore Carrubba l'ha invitata a restare in Italia. Non è un po' tentato di dire di sì?
La mia vita è ad Atherton, in California. In Italia ci sono i miei genitori, le mie radici e, da circa un anno, i miei investimenti in tre aziende abruzzesi in cui credo: Innova, Tecnomatic e Del Verde. Tornerò regolarmente per questi due motivi, ma non per fare l'imprenditore. Ormai sono abituato agli Stati Uniti e alla loro cultura d'impresa: qui potrei impazzire davanti alle difficoltà burocratiche e legislative. La vicenda dei call center si commenta da sola.
La commenti anche lei.
La decisione di imporre alle aziende di assumere persone a tempo indeterminato dimostra che la maggior parte dei politici non capisce nulla di economia. Forse anche perché nella loro vita, a parte occuparsi di politica, non hanno mai fatto alcunché di produttivo. La libertà di assumere è indissolubilmente legata a quella di licenziare. Un mercato del lavoro flessibile è un mercato del lavoro dinamico e quando si perde un lavoro si entra subito nell'ottica di trovarne un altro. La logica a cui si ispirano le leggi italiane è vecchia, legata a quando il lavoro da tutelare era quello delle fabbriche. L'economia e la società sono cambiate, oggi la maggior parte dei lavori sono nel comparto dei servizi. Ma qui la classe politica, e in certa misura la classe dirigente nel suo complesso, fa finta di non accorgersi dei cambiamenti.
Eppure lei ha deciso di investire in Italia.
Poco più di un anno fa mi ha scritto un commercialista di Pescara, spiegandomi che a Chieti Scalo, la periferia della periferia dell'economia italiana, c'erano tre ragazzi che lavoravano a un progetto per trasformare energia solare in energia elettrica. Avevano chiesto un finanziamento a una banca locale, ma le banche italiane non finanziano le idee. Gli avrebbero dato soldi solo se avessero mostrato di possedere un capannone. Se raccontassi una cosa del genere ai venture capitalist che hanno fatto la fortuna della Silicon Valley, non saprebbero se ridere o piangere. Quando ho conosciuto questi ragazzi di Chieti Scalo ho capito che il loro progetto era valido e che sarebbe stato un delitto non offrirgli una possibilità. Se è vero che il sistema Paese non funziona, è altrettanto vero che in Italia esistono talenti e forze creative. Per questo mi è tanto doloroso constatare che non possono esprimersi.
Da Il Sole 24 Ore, 26 agosto 2006
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domenica, agosto 27, 2006
Promesse Liberali
di Marco Baldassari
La creazione della "Intesa di San Paolo" prima banca italiana di livello europeo, con una chiara bandiera cattolica nel suo nome, ha segnato l'uscita dai confini del territorio italiano per la finanza nostrana. Siamo europei, nel mondo globale.
Quindi dobbiamo educare gli italiani e le istituzioni al mercato globale e alle sue regole, che esistono e delle quali si deve tenere conto se si vuole fare impresa. Una prima regola e' che vi sia concorrenza, in modo che il mercato - i clienti - possano scegliere le migliori condizioni di qualita' e di minore prezzo, senza che una posizione dominante possa governare il mercato imponendo le proprie condizioni. Qualche perplessita' sull'aspetto dominante della "santa intesa" viene spontanea: oltre a detenere il 44% di Bankitalia, sarà anche il maggior azionista della Consob con oltre il 18%. Azionisti di riferimento: le fondazioni bancarie, la cui natura e' una anomalia tutta italiana. Non sono fondi di investimento ma hanno un sacco di soldi e non si capisce bene di chi sono e chi le comanda.
La seconda regola e' che le aziende siano dotate di capitali propri, per non dipendere dalle banche, i cui prestiti devono essere considerati come opzione economicamente vantaggiosa e non come condizione sine-qua-non per operare. Sappiamo che tutte le aziende italiane non sono sufficientemente capitalizzate e che dipendono dalle banche. Sappiamo anche cosa e' successo con Parmalat.
Il capitale investito, motore primo dell'impresa, deve essere privato e posto al rischio di impresa per sostenere le attivita' e gli investimenti necessari per realizzare e vendere nel mondo intero prodotti italiani. Questo capitale deve essere in mano ai privati che mettano i soldi nel capitale delle aziende in cambio di Equity, Azioni. Purtroppo spesso i privati affidano i loro risparmi alle banche e di impresa non ne vogliono sentir parlare, anche perche' comprendono bene i rischi e non si fidano della trasparenza - governance - e dei possibili ritorni economici. Diciamo anche che manca la cultura di impresa e del valore di intraprendere. Chi si espone ai rischi di impresa non e' considerato un vincente, anzi...
Le banche prestano risorse a debito e possono aiutare facendo leva sul capitale investito, ma non possono e non devono diventare il socio di maggioranza, che deve essere costituito da soldi privati, vendendo azioni su un mercato azionario che ancora non esiste nella cultura italiana. Le imprese devono essere capitalizzate perche' hanno bisogno di soldi per crescere e non devono distribuire le loro risorse.
Nel cambiamento culturale necessario per lo sviluppo italiano, le parole di Bersani sono una promessa che porta fiducia, se avra' il coraggio nel proseguire nonostante tutto e nonostante tutti nel disegno di liberalizzazione:
"E' certo che andremo avanti nelle liberalizzazioni, certamente andremo avanti sull'energia, sugli ordini professionali, sulle telecomunicazioni"
"Nel '96 ho iniziato ed ho fatto la liberalizzazione del mercato energetico e sono finito sui volantini delle Br e lì mi hanno messo la scorta; ho fatto la liberalizzazione del commercio e Tremonti è sceso in piazza con i commercianti a bruciare le licenze nelle piazze nella opposizione più violenta mai fatta; poi, come ministro dei Trasporti, ho fatto la liberalizzazione del trasporto ferroviario in Italia, pochi se ne sono accorti ma ora in Italia viaggiano le merci su diverse aziende e spero che possa succedere anche per i passeggeri; è arrivato questo governo qua ed ho tenuto un pochino di competenze in più sulla concorrenza ed ho fatto queste liberalizzazioni e mi sento dire che non ho fatto niente".
"Sono stupefatto di come, in un Paese come il nostro, qualsiasi limitato cambiamento susciti reazioni al punto di dovere girare con la scorta. Io non voglio la scorta, voglio un Paese civile dove se fai delle cose che fanno tutti nel mondo non si inventano volgarità del tipo che fai piacere alle cooperative".
"La liberalizzazione della vendita dei farmaci era scritta nei nostri programmi, lo dicevo ai convegni da anni. Andate a chiedere all'Unipol, che è una cooperativa, cosa pensa della liberalizzazione nelle assicurazioni".
Segnalo a Bersani che il sistema ferroviario per i passeggeri - avendone di recente fatto uso intensivo - sta collassando e non e' in grado di far viaggiare un treno senza inconvenienti da Napoli a Torino, essendo frequente la "fusione" della motrice.
Attenzione a come si fanno le liberalizzazioni, evitando e gestendo in partenza le posizioni dominanti in modo da rendere concreta e possibile la concorrenza, unico lato positivo del libero mercato.
In questo, Bersani-Visco farebbero bene a mettere in maggiore competizione le grandi imprese dominanti, da diecimila e oltre dipendenti, evitando di mettere ulteriori gravami e difficolta' ai liberi professionisti, imprenditori di se stessi, che sono liberali per necessita' in un mercato gia' di per se estremamente competitivo. Meglio di me ha gia' scritto in proposito Claudio Rise'.
Sono precari e soli, riuniti in ordini professionali che sono il loro unico welfare. Anzi, a ben vedere sembra un modo di ridurre l'indipendenza delle professioni, in un disegno che mira a rendere tutti dipendenti, ovvero il contrario della liberalizzazione come spiega bene un avvocato che del liberalismo fa la sua bandiera:
"Se dovra' essere il mercato a stabilire le tariffe "eque", ci vorra' del tempo per capirlo e probabilmente le stesse rimarranno invariate dal momento che in definitiva le stesse gia' da anni erano solo un parametro di riferimento poco vincolante.
Gli unici a ribassarle saranno gli avvocati delle banche e delle assicurazioni semplicemente perche' banche e assicurazioni sono quegli istituti che affidano masse rilelvanti di pratiche in serie, tipo recuperi crediti, ipoteche, pignoramenti, sinistri stradali, e quindi se prima avevano il potere contrattuale di scrivere all'avvocato una letterina con la quale precisavano che avrebbero pagato solo i minimi tariffari, ora potranno scrivere che pagheranno solo la meta' dei vecchi minimi tariffari, e se non va bene arrivederci e grazie.
Ma per la generalita' dei cittadini non cambiera' niente: al massimo ribasseranno ulteriormente gli avvocati giovani senza costi di un grande studio che si trovano costretti a svendersi e a seguire pratiche su cui non hanno esperienza pur di avere qualche cliente, potendo praticare prezzi stracciati solo in quanto lavorano in pigiama e nel tinello di casa loro, senza spendere nemmeno per libri e riviste di aggiornamento, con tutto quel che ne consegue sul piano della qualita' della loro prestazione.
Ma il punto non e' questo: il punto e' che - nonostante quel che viene raccontato - l'Ordine degli avvocati - che di fatto deve contrattare con il ministero, cioe' con lo Stato, le tariffe che propone e che di fato sarebbe da abolire assieme agli altri ordini professionali in quanto "corporativo, castale, illiberale" - in realta' non e' mai stato un organo dello Stato, come invece lo e' la magistratura, bensi' e' nato ed e' sempre stato una associazione nata dal basso, e non per ordine del sovrano.
Hanno riconosciuto rilevanza pubblica all'ordine perche' ha la funzione di garantire la difesa in giudizio dei cittadini, che e' caratteristica di tutte le societa' civili dove non ci si fa giustizia da soli. Pero' e' sempre stato, di principio, una associazione, una espressione della societa' e non dello Stato.
E allora, ancora una volta: di cosa parliamo quando parliamo di "equita'", in termini economici? E di cosa parliamo quando parliamo di concorrenza, di liberta', di statalismo, di mercato, di corporazioni, di privilegi, ecc. ecc.?
Quando si tratta di ripensare certi argomenti per prima cosa bisognerebbe rileggersi la dichiarazione di indipendenza degli stati uniti d'america, che non a caso e' nato proprio a seguito di problemi di tasse e di rapporti economici."
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martedì, giugno 27, 2006
L'agile Inghilterra e la mummificazione italiana.
Parlando di velocita' e di "sistema impresa" viene da chiedersi se le imprese e l'economia italiana possa trovare un modo di stare a galla nel mercato globale, quando il "sistema paese" resta mummificato e imbalsamato nella lentezza statalista indecisionale/alternarnte che non consente di avere stabilita' di visione strategica di medio periodo.
Se l'Italia e' l'ultimo mercato europeo, non certo appetibile per lo sviluppo di nuove imprese, dobbiamo chiederci se il sistema paese non debba necessariamente evolvere per consentire una vera ripresa economica solida, stabile e di nuovo corso. Puo' essere utile rileggersi la storia e riflettere sulle fondamenta del mercato globale Angloamericano, che non puo' che essere frutto di una mentalita' vincente, alla quale dobbiamo se non altro ispirarci e interiorizzare come punto di partenza. Non potranno mai nascere dei purosangue in un allevamento di maiali.
Richard Newbury percorre la vita della figlia di Enrico VIII e ci trasporta verso le origini degli stati “liberali” attraverso un volume agile e non accademico (“ Elisabetta I, una donna alle origini del mondo moderno”, Claudiana, 2006, 13 euro ). Newbury è uno storico apprezzato, che vive a Londra con la moglie Erica Scroppo, alla quale si deve una accurata traduzione dello stile chiaro, dettagliato, e ricco di humour inevitabilmente inglese, di Newbury.
[...]Di fronte a questo colossale dispiegamento di forze, Elisabetta oppose agilità e tecnologia. Nel frattempo - mostrandoci ancora una volta una differenza culturale già esplicita - Elisabetta aveva reinvestito il capitale guadagnato da Drake, col risultato di porre le basi di quella che sarebbe diventata la Compagnia delle Indie. Filippo II invece rimase ancorato allo sfruttamento delle miniere di oro nella America del sud come unico modo per creare ricchezza.
La Armada spagnola era come lo Stato iberico: dotata di navi lente, veleggianti grazie a pesanti apparati burocratici, e guidate da una multinazionale di nobili intrallazzoni quanto incapaci. Le navi inglesi erano al contrario piccole e veloci, ed erano dotate di cannoni superiori a quelli spagnoli. In questo modo venne vinta la prima guerra contro la burocratizzazione della vita e dello spirito. Grazie a Richard Newbury possiamo leggere i dettagli di una vicenda quanto mai attuale.
giovedì, giugno 22, 2006
Fiducia nel sole
Nanosolar Gets $100M for PV - Thin-film startup aims to build world’s largest solar factory. Nanosolar announced Wednesday it has completed a $75-million Series C round of financing and will use the money, plus government subsidies, to build the world’s largest photovoltaic solar factory. Combined with the subsidies, the total funding actually amounts to $100 million, the thin-film company said. Existing investors Mohr Davidow Ventures (MDV), Benchmark Capital, OnPoint Technologies, and Mitsui participated in the round. “These are seasoned PV investors that have already made money in PV,” said Erik Straser, a general partner with MDV. “That tells you that the opportunity is very unique because the people already know the business—and who have proven they can make money in this business—are putting money into Nanosolar. It’s an informed vote of confidence.” Nanosolar, a Red Herring 100 company, raised $20 million in a Series B round in June, and previously received government grants, including $10.5 million from the U.S. Defense Advanced Research Projects Agency (DARPA), part of the Department of Defense (see Nanosolar Raises Funding , The Top 100 Private Companies: Nanosolar ). The Palo Alto, California-based company, formed in 2002 , got its seed funding from Google founders Sergey Brin and Larry Page , and Mr. Page’s brother, Carl Page. The factory that will bring Nanosolar’s thin-film technology to the market will have an annual capacity of 430 megawatts once it’s fully built, will churn out about 200 million cells per year, and will be located in the San Francisco Bay Area. Nanosolar is also building a panel assembly factory designed to produce more than 1 million solar panels annually, which will be located in Berlin . Nanosolar has a thin-film solar technology that it claims is 10 times as efficient as traditional cells, and a printing-based manufacturing technique that it says will bring the price down to less than a dollar per watt, competitive with natural gas and peak electricity prices.
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domenica, giugno 18, 2006
Piu' Qualita' Meno Spesa
A commento dell'articolo Lavoce.info di Tito Boeri sulla due diligence dei conti pubblici fatta dalla commissione Faini e dell'annuncio di Padoa-Schioppa di una inevitabile manovra aggiuntiva.
La stima del 4% con i delta dovuti ai rischi e' una impostazione chiara, se vengono spiegati meglio i meccanismi che determinano i maggiori costi, proprio per fornire un supporto decisionale chiaro per tutti, sulla base del quale orientare le scelte politiche.
E' apprezzabile che il documento sia in italiano scorrevole e leggibile, come fortemente voluto da Padoa-Schioppa, molto importante per la trasparenza e la comprensione delle scelte politiche.
Ho notato che le maggiori entrate, impreviste, coprono appena i maggiori costi della sanita', che gia' e' ridotta all'osso, con servizi ancora insoddisfacenti e personale molto scontento.
Credo sia fondamentale, anche per la prospettive di medio termine, che la sanita' concentri gli sforzi sulla motivazione del personale a realizzare obiettivi di efficienza e qualita' del servizio, che porti alla riduzione della spesa. Si deve entrare nel merito dei processi e riorganizzarli in modo da ridurre i tempi di attesa dei pazienti e il tempo sprecato in lavori inutili da parte dei medici. Ospedali centri diagnostici e medici di base devono lavorare insieme in modo coordinato, per intervenire e indirizzare i pazienti prima di entrare in ospedale. Maggiore assistenza domiciliare e sostegno preventivo, possono ridurre la spesa farmaceutica, migliorando la qualita' totale del servizio percepito. Sopratutto l'informazione ai medici e ai pazienti deve sfruttare le nuove tecnologie, perche' sia disponibile e accessibile l'informazione che consente a ciascuno di compiere scelte di efficienza e riduzione dei costi.
Un analogo lavoro di riorganizzazione dei processi deve coinvolgere la pubblica amministrazione nel suo complesso, partendo proprio dalla razionalizzazione delle province/comuni e grandi metropoli, in modo da avere strutture efficienti e omogenee.
Prima di fare scelte politiche, si deve rendere lo stato efficiente, per dare ai politici e ai cittadini uno strumento utile, non un Leviatano.
Le imprese, sopratutto le startup, hanno bisogno di capitali internazionali che abbiano fiducia di investire in un paese moderno, efficiente. Una manovra aggiuntiva fa pensare alle mosse fallimentari di Amato nel 1992. Dimostriamo di saper coinvolgere le persone nel rendere i processi piu' efficienti.
Si intervenga nei due settori piu' critici: sanita' e amministrazione.
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venerdì, giugno 16, 2006
Investire nel Software
di marco baldassari
Come chiaramente spiegato in un articolo del prof Angelo Raffaele Meo, non e' semplice per una azienda italiana realizzare un prodotto sofware in competizione sul mercato globale.Per rimanere sul mercato, davanti alla competizione internazionale di koreani, indiani, isaeliani, canadesi, americani, con qualche rara eccezione di europei, si deve fare un grandissimo investimento, realizzando una prima versione beta del prodotto con cui andare a proporre una prospettiva di sviluppo strategico ai clienti di riferimento.
Sulla base dei riscontri, si segmenta il mercato identificando un percorso di penetrazione in ciascun segmento, dando priorita' a quello piu' recettivo e rapido nella crescita.
In seguito a queste scelte strategiche si individuano i requisiti "trigger" che determinano l'acquisto e si raffina l'analisi del problema sottostante, valutando le implementazioni piu' economiche ed efficaci.
Comunque, si deve impostare una achitettura modulare scalabile che consenta di estendere lo sviluppo nel futuro. Sembra facile, ma e' tanto lavoro fatto a investimento, che dara' i suoi frutti nel tempo. Non farlo sembra piu' economico, ma puo' portare a dover rifare tutto da capo.
Al cliente di riferimento si dovra' ritornare presentando un percorso evolutivo del prodotto nel corso del tempo, in modo da confrontarlo con le esigenze del cliente ora e nel corso dei prossimi tre-cinque anni.
Questa validazione e' determinante per allineare lo sviluppo del prodotto al mainstream delle esigenze dei clienti. Da un verso rassicura sui rischi delle strategie di sviluppo e dall'altro dimostra competenza ai clienti che preferiscono scegliere un fornitore che aggreghi in una soluzione unica le esigenze di tutti i membri del proprio settore di mercato. Solo cosi' si ottiene il riconoscimento dei clienti. La competenza e solidita' nel servire il mercato si dimostra con questo confronto.
Gia' una ditta Italiana si troverebbe in svantaggio per diversi motivi.
1. Il mercato Italiano o raggiungibile dall'Italia e' tipicamente molto conservatore, abbottonato, restio a parlare delle proprie esigenze;
2. e' lento a prendere decisioni stabili e tortuoso nel perseguirle;
3. e' pure piccolo numericamente e molto attento a centellinare i soldi.
Lo scarso numero di clienti per ciascun settore, rende difficile se non impossibile fare segmentazioni significative e con stime dimensionali bottom-up ovvero analitiche che possano avere senso su scala globale.
Infine, data la scarsa e limitata capacita' di investimento e di spesa, nonche' una vera fobia nell'investire nel software, questo mercato rischia anche di essere molto sensibile al prezzo, quindi inadatto alle prime versioni destinate ai "pionieri" sperimentali.
Per questi motivi, aprire direttamente una sede di marketing strategico negli Stati Uniti appare la soluzione vincente. Da li si raggiunge tutto il mondo e si viene subito percepiti come parte della comunita' attiva.
Il mercato USA e' molto veloce a decidere e disposto a investire pesantemente pur di assicurarsi un vantaggio competitivo.
La brutta notizia e' che per sopravvivere sul mercato americano sono necessari capitali veramente ingenti, perche' si deve investire nel prodotto e poi nel marketing prima di poter rientrare dei costi.
Come ben spiegato nell'articolo di Meo, ogni sviluppo richiede investimenti sempre maggiori. Quindi il cliente americano che lo sa, tende a preferire l'azienda che ha maggiori disponibilita' finanziarie in conto capitale. Che abbia VC con "deep pockets" pronti a spendere e seguire gli investimenti.
Si deve sempre restare davanti alla concorrenza per la citata "sindrome di Luciano" che in altri termini premia in modo non proporzionale chi e' primo nella scaletta delle vendite. Siccome i clienti conoscono bene il gioco, pretenderanno che il secondo venda a un prezzo molto inferiore. Quindi rimanere in testa facendo vedere i "muscoli" e' vitale.
Pero' si deve anche fare attenzione a non eccedere nelle spese di marketing, perche' oltre a un certo rateo di vendite non si riesce ad andare con un prodotto nuovo.
Spesso vince non chi per primo penetra il mercato, ma chi arriva secondo al momento giusto, per prendere i soldi al cliente che ha quasi deciso. Pronti ad investire quando il mercato comincia a considerare il nuovo prodotto una necessita' competitiva. O quando i consumatori lo vedono come uno strumento indispensabile.
Per queste ragioni, dopo aver gia' tanto investito nel realizzare un prodotto vincente, si deve sempre ancora investire in marketing e vendita con un eccellente servizio di prevendita e di supporto all'uso del prodotto. ARTIS in questo e' stata sempre il numero uno.
Forse leggendo queste considerazioni sara' piu' facile comprendere quanto ARTIS abbia avuto vita dura nel fare tutto da sola nel mercato globale senza la fiducia di investitori Italiani.
Quelli americani queste cose le conoscono bene e quindi avevano ben chiara la strategia dell'azienda considerandola corretta e scontata.
Per tutti questi fattori, in generale una startup americana, in un territorio piu' competente, veloce e ricco, con un mercato omogeneo primario facilmente raggiungibile, viene mediamente valutata fino a 10 volte una analoga startup europea. L'azienda vale se chi ne acquistera' le azioni al momento dell'IPO o della vendita sa di poter contare su un mercato azionario competente. In California ogni buona massaia conosce le quotazioni di Oracle del giorno e si entusiasma quando incontra i ragazzini che hanno fatto i soldi con quella startup che aveva affittato il garage della sua vicina pochi anni prima.
Anche per questo motivo ARTIS era una azienda americana con una succursale italiana per fare lo sviluppo dove lavoravano le persone piu' legate al bel paese. Ma anche questo valore compreso bene dagli americani e trascurato dagli italiani ha avuto per conseguenza che anche le valutazioni e i giudizi tra italiani ed americani non trovavano riscontri, sollevando dubbi e perplessita. Due mentalita' che non si capiscono fanno fatica a convergere.
La lezione imparata e' che per fare queste cose bisogna subito avere anche VC americani nel capitale di una azienda di capitale americano.
Presentazione dell'esperienza ARTIS - Da Torino alla California
Ma allora forse tanto vale farla tutta in america l'azienda? Leggete la presentazione. C'e' molto lavoro ancora da fare ma possono esservi opportunita' di crescita anche in Italia se si parte subito con questi caveat in mente per impostare un progetto globale.
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